venerdì 7 marzo 2008

Matilde Serao

Lawrence Alma Tadema/Mrs. FrankMatilde Serao (Patrasso, 7 marzo 1856Napoli, 25 luglio 1927) è stata una scrittrice e giornalista italiana. Matilde Serao nacque dal matrimonio di un esule napoletano, l'avvocato Francesco Serao, con Paolina Borely, una patrizia decaduta. La sua fu un'infanzia triste e povera. Suo padre Francesco, avvocato e giornalista di fede antiborbonica, era sfuggito nel 1848 alle persecuzioni poliziesche nascondendosi in Grecia, dove aveva trovato un modesto lavoro come insegnante. Qui conobbe e sposò Paolina Borely, la madre patrizia greca, colta, intelligente, angelica che sarà il vanto e il mito della giovane Matilde. Come una sorta di gioco continuo, sul filo della memoria Matilde mescolò in tutte le sue opere i ricordi e le sue più intime esperienze, ad uno spirito di osservazione ed una sensibilità eccezionale. È questa la sua vera forza narrativa. “Un'osservazione mossa dal sentimento”, così Benedetto Croce descriverà l'essenza della sua narrazione; “un fedele e umile cronista della mia memoria” dirà di se Matilde, un giorno. Il 15 agosto 1860 la famiglia Serao, con l'annuncio dell'ormai imminente caduta di Francesco II tornò velocemente in patria. La vita sociale della prima adolescenza di Matilde fu spensierata e serena, ma non altrettanto si può asserire per quel che riguarda il suo amore per le lettere, infatti il suo talento non fu affatto uno dei più precoci. Malgrado gli sforzi della madre, ad otto anni ancora non sapeva “ne leggere ne scrivere”. Imparò più tardi, solo in seguito alle vicissitudini economiche e alla grave malattia della madre. Matilde a Napoli si trasferì verso gli inizi del 1861. Qui si presentò, quindicenne, priva di titolo di studio, in qualità di semplice uditrice, alla Scuola Normale Pimentel Fonseca di Piazza del Gesù, dove riuscì in poco tempo e con ottimi profitti, ad ottenere il diploma. Poi, vinse il concorso come ausiliaria telegrafica dello Stato, impiego che la occupò per quattro anni. Nonostante buona parte della giornata fosse assorbita dal palazzo Gravina, la vocazione letteraria non tardò a divenire prepotente. Cominciò dapprima con brevi articoli nelle appendici del Giornale di Napoli, poi passò ai bozzetti ed alle novelle firmate dallo pseudonimo Tuffolina, poi mandò “Opale” (una novella) al “Corriere del Mattino”. Tuffolina cominciò a scrivere di tutto, lavorando con slancio, animata dalla propria ambizione, un'ambizione che sa di riscatto, di voglia di salire i gradini della scala sociale di chi, nato povero, ha sempre cercato un senso di rivincita verso il mondo. Difatti dopo poco, passò a collaborare con il “Capitan Fracassa” a Roma. Qui per oltre cinque anni Matilde, sotto lo pseudonimo Ciquita scrisse di tutto, dalla cronaca rosa alla critica letteraria. Inoltre si seppe ritagliare uno spazio non indifferente, nei salotti mondani della capitale. La sagoma un po' tozza, la mimica ed i modi spesso troppo spontanei per l'ambiente salottiero, la risata grossa, spontanea, dovettero causarle non pochi problemi. Durante quelle riunioni social-mondane frivole ed eleganti, la sua fama di donna indipendente suscitò più curiosità che ammirazione. Quelle belle signore oziose, dagli abiti delicati, raffinati e dai modi eleganti non accolsero mai da pari la giovane scrittrice che spesso anzi, divenne l'argomento dei loro pettegolezzi. «Quelle damine eleganti non sanno che io le conosco da cima a fondo - scrisse la giovane Matilde - che le metterò nelle mie opere; esse non hanno coscienza del mio valore, della mia potenza...» La Serao fu soprattutto la scrittrice della piccola borghesia e della plebe. La sua migliore vena veniva fuori proprio quando mostrava la disperazione, la gioia, gli stenti le abitudini e le speranze, i sogni fatti e quelli negati della gente povera, oppressa, sfruttata alla quale era negato il diritto di una vita dignitosa. Era questa la sua vera anima e ogni volta che descriveva il mondo raffinato ed opulento dei ricchi, con i suoi intrighi ed i suoi artifizi, non riusciva a dare il meglio di sé. La Serao scriveva dei due mondi in modo diverso: usava tinte un po' accese ed un po' irreali per il mondo aristocratico, usava invece i colori della realtà, quando si trattava di descrivere ambienti e personaggi di quel mondo piccolo borghese di cui, con la famiglia, faceva parte. I momenti più esaltanti del soggiorno romano furono senza dubbio, le serate che passava accompagnata dal padre, nella redazione del "Fracassa". Le lunghe discussioni, quelle voci, quegli odori, la ripagavano di qualsiasi amarezza e la facevano sentire importante, lusingata, viva. In breve tempo quella rivista aveva bisogno dei suoi scritti. Di diverso avviso sull'importanza e sul valore dell'opera della Serao fu invece Edoardo Scarfoglio, l'uomo che lei avrebbe sposato dopo poco tempo. In occasione dell'uscita del libro Fantasia della Serao, scrisse nel 1883, ne Il libro di Don Chiscotte: «... si può dire che essa sia come una materia inorganica, come una minestra fatta di tutti gli avanzi di un banchetto copioso, nella quale certi pigmenti troppo forti tentano invano di saporire la scipitaggine dell'insieme». Quanto al linguaggio adoperato nel libro, aggiunse: «..vi si dissolve sotto le mani per l'inesattezza, per l'inopportunità, per la miscela dei vocaboli dialettali italiani e francesi». Nel 1894 la stessa Donna Matilde, trovò le ragioni di questo suo “non scrivere bene” nei suoi studi cattivi ed incompleti e nell'ambiente; ma ci terrà a precisare: «Vi confesso che se per un caso imparassi a farlo non lo farei. Io credo con la vivacità di quel linguaggio incerto e di quello stile rotto, d'infondere nelle opere mie il calore, e il calore non solo vivifica i corpi ma li preserva da ogni corruzione del tempo». Le ragioni del suo stile appassionato ed insieme franto erano da ricercare nell'urgenza di partecipare direttamente alla vita del lettore, fino a coinvolgerlo nella propria pagina: per esserne a sua volta coinvolta, ma su un piano di trasfigurata oggettivazione dei fatti. Le critiche negative di Edoardo Scarfoglio non scoraggiarono Matilde che nel 1885 vi si unì in matrimonio. Dopo poco nacquero, uno dietro l'altro: Antonio, Carlo, Paolo e Michele. Nonostante le gravidanze, il lavoro della Serao non conobbe mai sosta. Durante il soggiorno romano, oltre a centinaia di articoli pubblicò: Pagina Azzurra, All'erta!, Sentinella, La conquista di Roma, Piccole anime, Il ventre di Napoli, Il romanzo della fanciulla, ecc.. Il giornalismo era per la Serao terreno e matrice di fatti, di osservazioni, di costumi, che lei portava poi nella sua arte grande, nei suoi romanzi, anche in quelli che la fretta sbrigativa di certa critica definiva “mondani”, come Cuore infermo (1881) e Addio amore (1890). Proprio in questa nota di “costume”, come partecipazione diretta alla realtà della vita e dell'essere è da riconoscere (come fa Anna Banti) che “Donna Matilde aveva il giornalismo nel sangue”. Sulla linea di una naturale adesione alla realtà quotidiana, come interpretazione autentica di un ambiente (Napoli) e d'un popolo (i napoletani) ma, nello stesso tempo, superando il dato del momento, la discussa e imprendibile “napoletanità”, l'arte maggiore della Serao si incontra con quella minore, rivelando, al proprio fondo, e per ragioni di stile, una sostanza umana che aspirava ad un essere universale. Anche per questo la Napoli della Serao era la Napoli di sempre, anche nella nota di costume (nei romanzi, nelle novelle, nel giornale) che rivelava al suo fondo, una realtà superiore, ora lieta, ora drammatica, che bisognava sapere scoprire. In questa prospettiva, a libri come Il ventre di Napoli (1884) e Il paese di cuccagna (1891) faranno riscontro pagine e personaggi minori che riflettevano la realtà del quotidiano. In tale dimensione, una semplice rubrica da lei creata “Api, mosconi e vespe” finì per tradire, sotto l'apparente notizia di cronaca “mondana”, un sofferto mondo umano, che completa l'arte “in grande” della scrittrice. Questa fortunata rubrica, che ogni tanto riappariva sotto altra veste nei quotidiani, accompagnò la Serao, con titoli diversi, per 41 anni. Dal “Corriere di Roma”, al “Corriere di Napoli”, al “Il Mattino” dove, dal 1896, prese il nome di Mosconi e in fine sul giornale della sola Serao, “Il Giorno”. I Mosconi si presentavano nell'insieme, come vivaci “capricci”, in una varietà originale di un “genere” a sé che stava tra la notizia, il dialogo, il ricettario, il capitolo, l'apologo, il bozzetto ed il “canto” tra popolare e salottiero. Si rianimava così, la vita di tutto un popolo e di una città con spunti tratti in genere dalla vita-bene ma calata nella realtà quotidiana, i cui problemi di sempre facevano da cornice, non di rado drammatica, ai più arguti e vivaci “mosconi”. Ne risulterà, con senso di partecipazione la pazienza di un popolo allenato alla sofferenza, la sua familiarità con i santi, il suo epicureismo misto a malinconia, il suo accanimento nel contendere con il destino, l'amore per il vagabondaggio e il senso del transitorio di un popolo imprevidente e sognatore, che infondo si era accontentato di poco. La Serao, da provetta giornalista, sapeva bene che l'articolo di giornale (tanto più, una rubrica di cronaca) comportava un senso di transitorietà, in cui lo stesso messaggio umano passava e moriva con la data in capo, senza bisogno di giustificazione, con un'impronta quotidiana spesso iterativa, la quale solo un'alta coscienza morale poteva salvare. Nella sua professionalità, come coscienza di arte e di stile, che aveva bisogno di comunicare, la scrittrice, dietro il “paravento” (come s'intitola un'altra sua rubrica) della nota anche di “vanità”, tradiva un sincero travaglio umano di fondo, che diventava ragione di stile. Le sue note di cronaca spicciola sulla moda, sui cibi, i gusti, lo sport, le nozze, le culle, i lutti, il freddo, il caldo, le feste, d'alto lignaggio come le “festicciole” di quartiere, i balli, le novità del progresso, gli usi e costumi, le stagioni, il carnevale, le corse e tutte le grandi o piccole occasioni del nostro vivere quotidiano, cui faceva riscontro un'attenzione particolare a fatti e avvenimenti sociali, insieme al fatto minuto, riportano alla concezione stessa del pensiero e dell'arte della Serao. Ritornando alla famiglia, da poco costituitasi, ritroviamo uno Scarfoglio irrequieto, da molto tempo pensava ad un proprio giornale; nasceranno così, il “Corriere di Roma” e di seguito a Napoli, il “Corriere di Napoli” ed “Il Mattino”. L'anno 1892 si sarebbe rivelato un anno denso di avvenimenti negativi. Oltre ai dissidi legali con Schilizzi, la vita privata dei coniugi Scarfoglio rimase scossa da un episodio destinato a suscitare grandi scalpori. Scarfoglio non fu mai dal punto di vista sentimentale, un uomo tranquillo. Le sue tante avventure extraconiugali furono note non solo alla Serao ma anche a tutti gli assidui lettori delle cronache mondane. Matilde sebbene sapesse tutto, rimaneva ugualmente accanto al marito perché lo amava d'un amore irrazionale. Dunque, nonostante le gelosie e le infedeltà di Edoardo la vita coniugale dei due proseguiva. Nell'estate del 1892, Gabrielle Bessard, sconosciuta cantante di teatro, irruppe nella loro vita. Tutto cominciò quando Matilde dopo un litigio, decise di lasciare la città per una villeggiatura in Val d'Aosta. Durante l'assenza della moglie, Edoardo incontrò Gabrielle a Roma e tra di loro cominciò una relazione che durò fino al 29 agosto 1894, quando la Bessard si sparò sulla porta di casa Scarfoglio, presso il palazzo Ciccarelli, in Via Monte di Dio, dopo aver deposto a terra la piccola figlioletta nata dall'unione con Edoardo. Gabrielle bussò alla porta e nel momento in cui la cameriera aprì, senza dire una parola, si sparò: «Perdonami se vengo ad uccidermi sulla tua porta come un cane fedele. Ti amo sempre.» Questo, il biglietto che lasciò cadere per terra. “Il Mattino” tacque la notizia: i redattori della cronaca riuscirono a convincere i colleghi del “Corriere di Napoli” a non pubblicare nulla. Il 31 agosto però il Corriere in aperta polemica con la coppia Scarfoglio-Serao, ruppe l'accordo e raccontò ai suoi lettori l'episodio avvenuto due sere prima. Il Mattino replicò il primo settembre in cronaca, con un articolo dal titolo: Il fatto della Bessard e le bassezze del signor Schilizzi, dovuto sicuramente alla penna di Edoardo. Gabrielle Bessard morì agli Incurabili, il 5 settembre a mezzogiorno. Il fatto suscitò grande clamore. La cantante era nota a Napoli: aveva cantato in due locali: al “Circo delle varietà” ed al “Salone Margherita”. La bimba Paolina venne affidata da Scarfoglio a Matilde che non esitò a prenderla con se ed ad allevarla. Matilde era esasperata, aveva sempre compreso, perdonato, rinunciato al proprio orgoglio ma, dopo qualche anno e dopo ennesimi tradimenti, deciderà di lasciare definitivamente il suo amato. Scarfoglio, dal suo canto, tranne che per qualche superficiale parola di circostanza, si mostrò quasi insensibile alla vicenda. Scrisse alla sua amica Olga: «Cara Olga, la mia povera amica è morta oggi a mezzogiorno. Io non ho alcun rimorso di questa tragedia... ma ne ho un dolore acuto e profondo, un vero dolore fisico dalla parte del cuore, e non posso liberarmi dell'ossessione di quella forma che si è piantata nella mia memoria e non ne vuole uscire. Per tutta la vita io avrò quel dolore e triste figura nel mio spirito... Partì... Quando la rividi a Roma, era irriconoscibile. Mi disse che lungi da Napoli essa si sentiva mancare la vita... continuava a dirmi l'impossibilità di viver lontana da me, a richiamarmi supplicando... costretta ora ad andare all'estero, si sentiva morire. Dopo che io fui partito, cominciò subito a richiamarmi, con una specie di angoscia, e perché io tardavo ad andare mi telegrafò: “Se non vieni per domani mi uccido”. Allora, la feci venire qui ... Quando le giunse l'ordine telegrafico di partire... non le dissi nulla. Allora, con la destra si tirò il colpo... Vedete che cosa pazza e terribile è questa nostra vita umana, e quale imprudenza è di legare il nostro destino con quello di un'altra persona che non sempre riusciamo a guidare e a frenare? La lezione, vi assicuro è stata più che sufficiente per il vostro povero amico.» Tra Matilde e Edoardo le cose precipitarono. Scarfoglio partì a bordo del Fantasia, per una crociera in direzione del Pireo, spingendosi fino a Costantinopoli con un gruppo di amici tra i quali era Gabriele d'Annunzio; tornò dopo un mese e fatta una breve sosta a Napoli, ripartì per il Medio Oriente. Nel 1900 cominciò l'inchiesta del senatore Giuseppe Saredo su Napoli. La Commissione, divisa in più parti, indagò sul risanamento, le fognature, l'acquedotto del Serino, l'istruzione, i bilanci, ecc.. Gli intenti iniziali erano buoni ed utili ma il risultato finale risultò arbitrario e fuorviante e non lo si considerò ne serio, ne obbiettivo. La relazione che aprì l'inchiesta, infatti, si fondava sull'assunto di base dell'inferiorità dei napoletani. In realtà tutto l'operare della commissione fu diretto ad un solo scopo: cercare di coinvolgere il Mattino nello scandalo dell'amministrazione Sulmonte. Scarfoglio polemista ad oltranza ed abituato com'era alle più aspre battaglie politiche, non si lasciò intimorire. Lo accusavano di essere corrotto, di aver ricevuto dei soldi, in cambio di favori, di avere un tenore di vita superiore alle sue possibilità. Non fu risparmiata nemmeno Matilde, accusata di aver ricevuto più volte soldi in cambio di raccomandazioni per posti di lavoro. Matilde soffrì molto per questa situazione. Tutto questo, unito alla non felice situazione coniugale le dettero non poche pene. Scarfoglio naturalmente non perse occasione per ironizzare sul dolore della moglie poi però, davanti all'attacco sferrato contro Matilde, così la difese sul Mattino: «Crede il Saredo sul serio che Matilde Serao si sia fatta pagare 200 lire da una guardia municipale per una raccomandazione ad un assessore? No, egli sa che le sarebbe bastato un articolo al “Figaro”, per risparmiarsi quest' avvilimento! E crede che abbia venduto a un suonatore di clarinetto per 2000 lire un impegno problematico? No. Egli sa che dieci giornali di quelli che con più acre ingenerosità gli han fatto coro, gliene offrono di più per un piccolo romanzo, opera di poche notti! Egli dunque ha operato in piena ed assoluta malafede, e non ha tratto in questo tranello la moglie, se non perché sapeva che non bastava ferire il marito per uccidere il giornale.» La difesa di Scarfoglio continuò poi scrupolosamente. All'accusa di vivere al di sopra dei suoi mezzi e di ricorrere quindi ad entrate occulte, replicò pubblicando entrate, uscite e redditi suoi, della moglie e del giornale.«Le scuderie della signora Serao si riducono ad una vecchia carriola per ripararsi dalla pioggia, in un paese dove non c'è in piazza una carrozza chiusa, e ad un cavallo dell'Apocalisse: carrozza e cavallo valgono l'una e nell'altro 500 lire, e che ella ha avuto anche prima della fondazione del Mattino. I miei attellages sono costituiti da una vettura automobile acquistata due anni e otto mesi fa per 5.960 franchi, imballaggi ed accessori inclusi. Che la Signora Serao non si sia mai rovinata in toilettes, che non abbia mai avuto un gioiello, sono cose di notorietà europea.» Ma la proclamazione dell'innocenza della moglie non di certo era frutto dell'amore e della stima per la compagna di mille avventure. Entro pochi mesi infatti scomparvero definitivamente dalle colonne del Mattino la firma e persino qualsiasi citazione di lei. Matilde, senza soldi in possesso solo di dodicimila lire ed estromessa dal Mattino cercò di dedicarsi ad una rivista: la “Settimana”; ma il risultato finale non fu convincente. Per lei, il giornalismo era diventato una necessità ed ora si sentiva estromessa da tutto. Il 13 novembre sul Mattino apparvero le dimissioni ufficiali della Serao da redattore del giornale. Ora era ufficialmente disoccupata. Diventare una redattrice di un qualunque giornale dopo essere stata fondatrice e condirettrice di un quotidiano, non era allettante. A questo, si aggiunse l'umiliazione che Edoardo le aveva inflitto in pubblico e in privato. Matilde dimostrò una forza e una tenacia senza pari. Forte delle sue esperienze, decise quindi, di prendere la propria vendetta sull'ex marito, fondando un quotidiano per conto suo e perché il coraggio non le mancava, lo fece proprio a Napoli. Il giornale fu "Il Giorno", diretta emanazione del pensiero e della personalità della Serao. A differenza del Mattino, il giornale della Serao fu più pacato nelle sue battaglie, raramente polemico. "Il Giornale" rappresentò il miracolo economico della Serao impenditrice che di lì a poco si risposò con l'avvocato Giuseppe Natale. La grande guerra intanto si avvicina rapidamente, ma "Il Giorno" sembrava essere lontano da qualsiasi iniziativa interventista a differenza del Mattino. I due giornali tennero un atteggiamento comune solo alla fine della guerra. Entrambi si schierano per una posizione neutrale dell'Italia. La guerra scoppiò, e Scarfoglio, nonostante l'atteggiamento iniziale, preso dall'entusiasmo mise a disposizione della Marina Militare il suo yacht, il Tartarin. Edoardo Scarfoglio morì a Napoli, il 5 ottobre 1917; Matilde lo pianse sinceramente. L'odio nei suoi confronti era finito da tempo, e in quelle lacrime c'era il dolore sincero per la scomparsa dell'uomo, che aveva amato e con il quale aveva condiviso tante battaglie. Matilde morì a Napoli nel 1927 al tavolo di lavoro. Fonte:http://it.wikipedia.org/wiki/Matilde_Serao

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