giovedì 31 gennaio 2008

L'Economist: "Ma davvero l'Italia vuole un altro governo Berlusconi?"

Henri Rousseau/CarnivalDomanda (parecchio retorica) del periodico britannico
Il settimanale si schiera: «disastrosi» i suoi 5 anni a Palazzo Chigi. «Con lui il Paese non ha speranze»
MILANO - Di fronte alla possibilità di una nuova vittoria elettorale di Silvio Berlusconi (la terza in 14 anni) l'Economist si affretta a prendere posizione. Così, quando ancora non si conosce l'esito della crisi apertasi con la caduta del governo Prodi, il settimanale si stupisce subito per le follie (presunte) dell'elettorato italiano. E si chiede: «Ma davvero l'Italia vuole un altro governo Berlusconi?». DISASTRO - «L'Italia ha già abbastanza problemi: ha veramente bisogno un'altra volta di Silvio Berlusconi?», si legge in un editoriale che apparirà sul numero in edicola venerdì. Il settimanale economico di Londra definisce il quinquennio passato da Berlusconi a Palazzo Chigi «disastroso». Nonostante il periodico riconosca che Berlusconi ha stabilito alla guida del suo passato governo un primato di stabilità e durata, lo critica per non aver approfittato di una maggioranza solida e obbediente per riformare il paese. «Ha sprecato la sua opportunità, usando tutto il capitale politico per proteggere i suoi interessi nei media e bloccare le azioni giudiziarie nei suoi confronti, ed è stato ondivago nelle riforme economiche», si legge nell'editoriale che definisce una «pillola avvelenata» la riforma elettorale in senso proporzionale approvata dal suo esecutivo verso la fine del mandato. CRITICHE RINNOVATE - L'Economist a ben vedere non fa altro che rinnovare le critiche già avanzate nel 2001, quando definì inadatto («unfit») a guidare l'Italia il leader di Forza Italia (che poi quelle elezioni le vinse sul serio, con ampio margine su Francesco Rutelli). E ribadite peraltro pochi mesi dopo, con un'altra celebre copertina sul fondatore di Mediaset: «Basta» (in italiano), corredato per giunta con un ancora più esplicito «E' tempo di cacciare Berlusconi». politico e si domanda se l'Italia meriti davvero un suo ritorno al potere. A ben vedere, quindi, tra il settimanale e l'ex premier non tira aria nuova: si tratta semplicemente di un nuovo round della loro personale guerra. CARENZA DI LEADER - Il vero problema del Paese, per l'Economist, è l'assenza in Italia di veri leader riformisti e pro-liberalizzazioni. La più giovane età di Walter Veltroni, secondo il settimanale, potrebbe dare al segretario del Partito Democratico qualche chance in più, ma l'Economist ritiene che le credenziali riformatrici del sindaco di Roma non siano ancora state testate e neanche la sua capacità di tenere insieme una maggioranza indisciplinata. Ma se il centrosinistra non dà certezze, il centrodestra ne dà in senso opposto, sostiene il settimanale. «Non c'è neanche un barlume di speranza che il ritorno di Berlusconi possa dimostrarsi una scommessa migliore di Prodi. Anzi, a giudicare da quanto fatto in passato, potrebbe rivelarsi peggiore e smontare i progressi fatti dal governo Prodi nel settore dell'evasione fiscale», si legge nell'articolo. «Pur essendo un uomo d'affari di successo, (Berlusconi) rimane inadatto per ricoprire il ruolo (di presidente del Consiglio) cui tanto aspira», conclude l'Economist. 31 gennaio 2008 Fonte: http://www.corriere.it/politica/08_gennaio_31/economist_berlusconi_9a32bde8-d029-11dc-9e72-0003ba99c667.shtml

Giovedì grasso

Carnevale in Alameda de Valencia di Ignacio PinazoBuon divertimento per chi ha voglia di festeggiare.

Ludovica Albertoni

Anonimo gotico XV secolo Ludovica Albertoni (Roma, 1474Roma, 31 gennaio 1533) è stata una religiosa e mistica italiana, terziaria dell'Ordine francescano: è venerata come beata dalla Chiesa cattolica. Il suo sepolcro, realizzato dal Bernini in San Francesco a Ripa, è considerato uno dei capolavori della scultura barocca. Esponente di un'illustre famiglia romana (era figlia del patrizio Stefano e di Lucrezia Tebaldi), rimase presto orfana di padre e sposò il nobile Giacomo de Citara, da cui ebbe tre figlie. Vedova all'età di trentadue anni, entrò nel Terz'Ordine di san Francesco e consumò tutto il suo patrimonio per assistere i bisognosi, gli ammalati e per dotare le fanciulle povere, particolarmente durante il sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi (1527). La pietà popolare le attribuì nomerose estasi ed episodi di levitazione. Morì nel 1533. Dopo la morte la sua figura fu subito oggetto devozione spontanea. Papa Clemente X ne approvò ufficialmente il culto il 28 gennaio 1671. Il 17 gennaio 1674, in occasione della traslazione della sua salma nel sepolcro marmoreo della chiesa di San Francesco a Ripa, venne effettuata la prima ricognizione delle sue reliquie. Fonte : http://it.wikipedia.org/wiki/Ludovica_Albertoni

Auguri a

Antonio BuenoJoanne Dru: 31 gennaio 1922-10 settembre 1996. Attrice squisitamente western (Fiume rosso, I cavalieri del Nord Ovest, La carovana dei mormoni etc..)
Jean Simmons: 31 gennaio 1929. Molti film peplo (Cesare e Cleopatra, La tunica, I gladiatori, Sinuhe l'egiziano, Spartacus...ma anche Bulli e pupe e Uccelli di rovo)
Daniela Bianchi: 31 gennaio 1942: Dalla Russia con amore.
e Anthony La Paglia: 31 gennaio 1959. Delizioso attore (Lantana e le serie Senza traccia dove interpreta il sensibile Jack Malone e Frasier, dove interpreta il folle ma simpatico cognato ubriacone di Niles, Simon Moon.)

Un ricordo di Giorgio Perlasca

S. Badalian(Como, 31 gennaio 1910Padova, 15 agosto 1992). Salvò molti ebrei (oltre 5000) dalla morte. E' un Giusto tra i Giusti.
Medaglia d'oro al merito civile
«Nel corso del 2° conflitto mondiale, con coraggio non comune e grave rischio personale assumeva la falsa identità di Console spagnolo per salvare migliaia di persone ingiustamente perseguitate, impedendone la deportazione nei campi di sterminio e riuscendo, poi, a trovar loro una provvisoria sistemazione, malgrado le notevolissime difficoltà. Nobile esempio di elette virtù civiche e di operante umana solidarietà.»

Antonia minore

Hero 1898 di L.A. TademaAntonia minore (31 gennaio 36 a.C.1 maggio 37) è stata una imperatrice romana, figlia di Marco Antonio e di Ottavia minore, sorella dell'imperatore Augusto, appartenente alla famiglia Giulio-Claudia. Viene chiamata "minore" per distinguerla dalla sorella maggiore dello stesso nome, che sposò un Lucio Domizio Enobarbo e fu la nonna di Nerone. Nel 17 a.C. sposò Druso maggiore (38 - 9 a.C.), fratello dell'imperatore Tiberio e figlio del primo matrimonio di Livia Drusilla, la moglie di Augusto. Dal matrimonio nacquero i figli Germanico (15 a.C.-19), Claudio (10 a.C.-54) e Claudia Livilla (13 a.C.-31). Nel 9 a.C. il marito Druso morì, a soli 29 anni, durante la campagna di conquista dei territori germanici fino all'Elba. Nel 4 d.C. il figlio Germanico venne adottato da Tiberio, contemporaneamente all'adozione di questi da parte di Augusto, che intendeva pianificare, in tal modo, la sua successione alla guida dell'impero. Germanico tuttavia morì nel 19 mentre si trovava in Siria, e da più parti si avanzò il sospetto che fosse stato fatto avvelenare proprio da Tiberio. La figlia Livilla sposò in prime nozze Gaio Cesare, nipote di Augusto e destinato a succedergli sul trono, e dopo la sua morte sposò Druso minore, il figlio di Tiberio e della sua prima moglie Vipsania, che morì ancor giovane nel 23, forse fatto avvelenare dal potente Seiano. Questi complottò poi con Livilla, che venne coinvolta nella sua caduta e morì nel 31. Nel 37 Tiberio morì e gli successe all'impero Caio Giulio Cesare Germanico, conosciuto come Caligola, l'unico sopravvissuto dei figli di Germanico, dopo la morte dei fratelli maggiori Nerone Cesare e Druso Cesare e della madre Agrippina, esiliati da Tiberio. Durante il regno di Caligola, Antonia minore morì nel 37 a 72 anni di età. Svetonio riporta che morì per una malattia causata dal trattamento ostile da parte di Caligola, anche se aggiunge che ci sono voci che sostengono che venne fatta avvelenare dal nipote, mentre secondo Dione Cassio Caligola la fece suicidare perché lo rimproverava. Dopo la sua morte divenne imperatore nel 41 il figlio Claudio, che successe al nipote Caligola. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Antonia_minore

mercoledì 30 gennaio 2008

Santa Martina

Martina, venerata come santa dalla Chiesa cattolica, secondo la leggenda fu una nobile romana che subì il martirio nella prima metà del III secolo sotto l'imperatore Alessandro Severo (sotto il quale tuttavia non vi fu alcuna persecuzione dei cristiani). Secondo una Passio leggendaria la diaconessa Martina fu arrestata per aver professato apertamente la sua fede e fu trascinata davanti ad una statua di Apollo e poi davanti ad una di Diana, facendo in entrambi i casi andare in pezzi la statua e crollare il tempio. Fu quindi sottoposta a tormenti e infine decapitata. La storia è molto simile a quella di Taziana (o "Tatiana"), festeggiata il 12 gennaio, o di Prisca (18 gennaio). Le prime notizie storiche risalgono al VI secolo, quando papa Onorio I le dedicò nei pressi del Foro Romano una chiesa (l'attuale chiesa dei santi Luca e Martina, rifatta nel XVII secolo ad opera di Pietro da Cortona). La sua festa era celebrata nell'VIII secolo, ma il culto venne rivitalizzato solo dopo che la tomba di tre martiri venne scoperta in alcuni scavi sotto l'antica chiesa del Foro Romano, nel 1634. La festa fu fissata al 30 gennaio da papa Urbano VIII, che ne fece anche una delle patrone della città di Roma. Un proverbio lombardo recita: Santa Martina la tra giò gran farina ("Il giorno di Santa Martina dispensa farina"). Santa Martina è patrona secondaria di Martina Franca. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Santa_Martina

Batilde

Slott Muller-A the dying betrothedBatilde (626 o 627 - Chelles, 30 gennaio 680), moglie del re franco Clodoveo II, fu regina di Neustria e Borgogna ed è venerata come santa dalla Chiesa cattolica. Le notizie sulla sua vita vengono dalla tradizione agiografica, la Vita Sanctae Bathildis, composta in ambiente ecclesiastico poco dopo la sua morte, e da citazioni di cronisti, e a volte le informazioni non concordano pienamente. Entrambe le tradizioni peraltro la dipingono come un'Anglosassone di nobile nascita, forse rapita durante un'incursione di Danesi, o forse imparentata con il re Ricberht dell'East Anglia, ultimo re pagano di quella terra. Ricberht fu spodestato dal suo rivale cristiano Sigeberht, il quale dopo la vittoria si liberò di parenti e sostenitori del vecchio re. Baltilde, ancora ragazzina, fu venduta come schiava, e divenne proprietà di Ercinoaldo, maggiordomo di palazzo del regno di Neustria. Secondo la Vita S. Bathildis, probabilmente scritta da una monaca del monastero di Chelles, Batilde era bellissima, intelligente, modesta e molto sensibile alle necessità altrui. Ercinoaldo, rimasto vedovo da poco, si sentì attratto da Batilde e considerò l'idea di sposarla. La ragazza, tuttavia, non lo assecondava, ed egli rinunciò al proposito, presentandola invece al re Clodoveo II, il quale se ne innamorò e la prese in sposa. Baltilde probabilmente aveva circa diciannove anni quando divenne regina, mentre il re, a seconda delle versioni, poteva avere dai 12 ai 16 anni d'età. La Vita riporta che anche da regina Batilde rimase umile e modesta, dedita alle opere di carità e a generose donazioni. Grazie a queste ultime furono fondate le abbazie di Corbie e di Chelles, e probabilmente anche altre come quelle di Jumièges, Jouarre, Saint-Wandrille and Luxeuil. Offrì inoltre aiuti importanti a San Claudio di Besançon e alla sua abbazia sui monti del Giura. Dal matrimonio con Clodoveo nacquero tre figli, i futuri re Clotario III, Childerico II e Teodorico III. Alla morte del marito (tra il 655 e il 657) esercitò la reggenza e cercò di ricostruire l'unità del regno franco in favore del primogenito, Clotario III. Da regina si dimostrò una capace donna di governo. Proibì tra l'altro il commercio di schiavi cristiani (e si impegnò molto a riscattare bambini venduti in schiavitù).( e gli schiavi non cristiani? n.d.F.) Al raggiungimento della maggiore età da parte di Clotario III, ed a causa della morte di Ercinoaldo e all’avvento di Ebroino, fu costretta ad abbandonare la corte e a ritirarsi nell’abbazia di Chelles, uno dei numerosi monasteri che aveva contribuito a fondare, dove trascorse il resto della sua vita dedicandosi alla cura dei malati. Alla sua morte fu sepolta nell'abbazia di Chelles. Il suo culto viene ufficialmente ricordato all'epoca della traslazione dei suoi resti dall'abbazia in una nuova chiesa, sotto gli auspici di Ludovico il Pio. Fu canonizzata da papa Niccolò I (858 - 867). Memoria liturgica il 30 gennaio. Nel contesto della società del settimo secolo è probabile che Ercinoaldo donasse Batilde a Clodoveo perchè ne facesse una delle sue concubine, nonostante il fatto che l'agiografia enfatizzi la sua castità anche durante la condizione di schiava. Fu l'interesse da lei destato nel sovrano a far sì che questi decidesse poi di farne la sua regina. Batilde fu in effetti donna intelligente e accorta, e governò con capacità, anche se con il continuo supporto del suo antico padrone Ercinoaldo. Secondo alcuni cronisti, peraltro, fu una governante a tratti spietata, in continuo conflitto con i vescovi, di cui alcuni furono da lei fatti assassinare. Beda riferisce che Ennemondo, vescovo di Lione poi santificato, fu assassinato per ordine di Ebroino ma su istigazione di Batilde nel 658. ( e meno male che l'hanno fatta santa n.d.F.) Il sigillo in oro della regina Batilde, originariamente posizionato su un anello, è stato ritrovato nel 1999 da un cercatore dilettante in un campo a poche miglia dalla città di Norwich, nell'East Anglia. Il sigillo ha due facce. Una, quella ufficiale, mostra il volto della regina e il suo nome BALDAHILDIS, l'altra, quella privata, presenta la raffigurazione della regina e del marito Clodoveo, entrambi nudi ed impegnati in un rapporto intimo sotto l'emblema della croce. Probabilmente il verso ufficiale serviva ad apporre il sigillo sui documenti ufficiali, l'altro su quelli privati. E' difficile spiegare come il sigillo della regina dei Franchi sia stato rinvenuto nell'East Anglia: probabilmente fu inviato alla sua famiglia di origine dopo la sua morte. Il sigillo è conservato presso il Norwich Castle Museum. Fonte : http://it.wikipedia.org/wiki/Santa_Batilde

Auguri a Dorothy Vanessa e Liu'

De Nitti-Sarah Bernhardt è PierrotDorothy Malone 1925, attrice statunitense, Oscar per "Come le foglie al vento". Vanessa Redgrave 1937, grandissima sempre (quale film scegliere?) e Liù Bosisio 1936, la carissima signora Pina Fantozzi nei primi film di Villaggio.

Adelaide Ristori

Bearsdley(Cividale del Friuli, 30 gennaio 1822Roma, 9 ottobre 1906). Nel 1902, quando compì 80 anni, Adelaide Ristori ricevette la visita di Vittorio Emanuele III, terzo Re d'Italia, onore mai ricevuto prima, né dopo, da alcun rappresentante dello spettacolo. Il Governo francese le conferì le palme di ufficiale dell'Istruzione pubblica in brillanti, il Kaiser Guglielmo incaricò l'ambasciatore tedesco a Roma di portarle a suo nome un cesto di fiori e personalità di tutto il mondo le inviarono telegrammi d'auguri. Le Compagnie teatrali diedero in tutta l'Italia recite straordinarie in suo onore. Alla sua nascita, avvenuta nel 1822 a Cividale, piccola cittadina del Friuli sotto il dominio austriaco, gli attori erano considerati socialmente meno che zero. Essi formavano un mondo a parte e si spostavano in gruppi familiari da una Compagnia all'altra in un'Italia ancora divisa in tanti piccoli Stati. In quegli stessi anni alcuni regnanti diedero vita a formazioni stabili. Nella più famosa di queste, la Compagnia Reale Sarda di Torino, entrò a quindici anni la Ristori, grazie alla lungimiranza del padre Antonio, che, attore di scarso merito, aveva intuito le doti della figlia. Essa divenne l'anno dopo prima attrice giovane e nel 1840 prima attrice a vicenda con Amalia Bettini. Dalla Reale Sarda si staccò l'anno successivo per tornarvi, ormai prima attrice assoluta e una scrittura favolosa, nel 1853. A quell'epoca era ormai diventata moglie del marchese Giuliano Capranica del Grillo, imparentato da parte di madre con i principi Odescalchi. Quell'incontro fu determinante anche per la sua carriera artistica. Giuliano portava non solo un blasone, ma uno spirito imprenditoriale estraneo alla conduzione familiare del teatro. Nacque così la trionfante tournée a Parigi nel 1855, all'epoca dell' Esposizione Internazionale. La capitale francese, abitata allora da molti fuoriusciti politici italiani, la acclamò grande tragica. Morta Rachel, Napoleone III offerse alla Ristori il suo posto alla Comédie Française, ma questa rifiutò perchè voleva rimanere italiana. Con la sua arte portò un messaggio di italianità nel mondo. La Ristori fu l'attrice viaggiatrice per eccellenza. Essa recitò in 334 città, 33 stati, 5 continenti. Aprì la strada agli altri attori italiani a cominciare dai grandi Tommaso Salvini ed Ernesto Rossi. Nessuno, però, godette come lei della familiarità di regnanti e uomini di Stato, a cominciare dall' amico carissimo Pedro Imperatore del Brasile per finire con il pittoresco re Kaméhaméla di Honolulu, che amava chiamarsi il Napoleone del Pacifico. Essa non recitò solo in italiano. Nel 1861 rappresentò all'Odéon di Parigi in lingua originale e con attori francesi "Beatrix", che Legouvé aveva scritto appositamente per lei. Nel 1882 cominciò a Londra una serie di rappresentazioni in lingua inglese con il "Macbeth", che la vide, nel 1885, al fianco del più celebre attore americano, Edwin Booth. Quell'anno, ormai sessantatreenne, lasciò definitivamente le scene.Cosa aveva reso la Ristori così famosa? Un insieme di tanti ingredienti. La sua Compagnia si distingueva dalle altre per la cura prestata alla messinscena. Il celebre sarto delle regine, Worth, aveva creato per la Ristori i costumi di alcuni spettacoli. Scenografi dei maggiori teatri lirici italiani dipinsero le sue scene. L'organizzazione creata da Giuliano metteva in primo piano l'aspetto pubblicitario. Tutto questo, però, non è sufficiente a giustificare il fascino, talvolta il fanatismo, ch'essa seppe suscitare nel pubblico. Attrice romantica, i suoi personaggi diventavano reali, ma di una realtà appassionata, che solo lei conosceva e morivano delle tante morti nelle quali lei era creatrice sovrana. La potenza e la ricchezza del gesto avevano del prodigioso, molti la paragonarono ad una statua greca vivente. La mutevolezza del suo sguardo seguiva tutte le gradazioni del sentimento. La voce, che anche Verdi ammirò, si adattava anch'essa al personaggio e, chiara nella dizione, sapeva farsi ora più acuta ora più profonda. La Ristori morì a Roma nel 1906 e, benché le generazioni che la videro recitare fossero in parte scomparse, la notizia girò mezzo mondo. Giuliano era morto quattordici anni prima. Rimanevano due figli, Bianca e Giorgio, che l'avevano seguita sempre, e tre nipoti. Fonte:http://www.museoattore.it/ade_descr.asp

Giulietta e Romeo

Riconciliazione dei Capuleti e Montecchi/LeightonSembra sia stata rappresentata per la prima volta, come oggi nel 1595. Romeo e Giulietta (The Most Excellent and Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet) è una tragedia di William Shakespeare tra le più famose e rappresentate, e una delle storie d'amore più popolari di ogni tempo e luogo. Innumerevoli sono le riduzioni musicali (si ricordano i balletti di Čaikovskij e Prokof'ev ed il notissimo musical West Side Story) e cinematografiche (fra le più popolari quelle dirette da Zeffirelli e Luhrmann). La vicenda dei due protagonisti ha assunto nel tempo un valore simbolico, diventando l'archetipo dell'amore perfetto ma avversato dalla società. Nel prologo, il coro racconta agli spettatori come due nobili famiglie di Verona, i Montecchi e i Capuleti, si siano osteggiate per generazioni e che "dai fatali lombi di due nemici discende una coppia di amanti, nati sotto cattiva stella", il cui tragico suicidio porrà fine al conflitto. Il primo atto comincia con una rissa di strada tra i servi delle due famiglie, interrotta dal Principe di Verona, che per ogni ulteriore scontro dichiarerà responsabili con le loro stesse vite i capi delle due famiglie per poi disperdere la folla. Paride, un giovane nobile, ha chiesto al Capuleti di dargli in moglie la figlia quattordicenne, Giulietta. Capuleti lo invita ad attirarne l'attenzione durante il ballo in maschera del giorno seguente, mentre la madre di Giulietta cerca di convincerla ad accettare le offerte di Paride. Questa scena introduce la nutrice di Giulietta, l'elemento comico del dramma. Romeo, dal canto suo, è innamorato di Rosalina, una Capuleti (personaggio che non compare mai). Mercuzio (amico di Romeo e congiunto del Principe) e Benvolio (cugino di Romeo) cercano invano di distogliere Romeo dalla sua malinconia, quindi decidono di andare mascherati alla casa dei Capuleti, per divertirsi e cercare di dimenticare. Romeo, che spera di vedere Rosalina al ballo, incontra invece Giulietta. I due ragazzi si scambiano poche parole, ma queste sono sufficienti a farli innamorare l'uno dell'altra e a baciarsi. Prima che il ballo finisca, la Balia dice a Giulietta il nome di Romeo, e (separatamente) viceversa. Romeo, rischiando la vita, resta nel giardino dei Capuleti dopo la fine della festa, e nella famosa scena del balcone, i due si dichiarano il loro amore e decidono di sposarsi in segreto. Il giorno seguente, con l'aiuto della Balia, il francescano Frate Lorenzo unisce in matrimonio Romeo e Giulietta, sperando così di portare pace tra le due famiglie attraverso la loro unione. Le cose precipitano quando Tebaldo, cugino di Giulietta e di temperamento iracondo, incontra Romeo e cerca di provocarlo a un duello. Romeo rifiuta di combattere contro colui che è ormai anche suo cugino, ma Mercuzio (ignaro di ciò) raccoglie la sfida. Tentando di separarli, Romeo inavvertitamente permette a Tebaldo di ferire Mercuzio, che muore augurando "la peste a tutt'e due le vostre famiglie". Romeo, nell'ira, uccide Tebaldo. Il Principe condanna Romeo solo all'esilio (perché Mercuzio era suo congiunto e Romeo l'ha solo vendicato): dovrà lasciare la città prima dell'alba del giorno seguente. I due sposi riescono a passare insieme un'unica notte d'amore. All'alba, svegliati dal canto dell'allodola, messaggera del mattino (che vorrebbero fosse il canto notturno dell'usignolo), si separano e Romeo fugge a Mantova. Giulietta dovrebbe però sposarsi tre giorni dopo con Paride. Frate Lorenzo, esperto in erbe medicamentose, dà a Giulietta una pozione che la porterà a una morte apparente per quarantotto ore. Nel frattempo il frate manda un messaggero a informare Romeo affinché egli la possa raggiungere al suo risveglio e fuggire a Mantova. Sfortunatamente il messaggero del frate non riesce a raggiungere Romeo poiché Mantova è sotto quarantena per la peste, e Romeo viene a sapere da un servitore della famiglia del funerale di Giulietta (una interessante incongruenza nella storia: come avrebbe fatto il servitore a tornare a Mantova dopo aver assistito al "funerale" di Giulietta?). Romeo si procura un veleno, torna a Verona in segreto e si inoltra nella cripta dei Capuleti, determinato ad unirsi a Giulietta nella morte. Romeo, dopo aver ucciso in duello Paride, che era giunto anche lui nella cripta, e aver guardato teneramente Giulietta un'ultima volta, si avvelena pronunciando la famosa battuta "E così con un bacio io muoio" (Atto 5 scena III). Quando Giulietta si sveglia, trovando l'amante e Paride morti accanto a lei, si trafigge con il pugnale di Romeo. Nella scena finale, le due famiglie e il Principe accorrono alla tomba, dove Frate Lorenzo gli rivela l'amore e il matrimonio segreto di Romeo e Giulietta. Le due famiglie, come anticipato nel prologo, sono riconciliate dal sangue dei loro figli, e pongono fine alla loro guerra. I nomi delle due famiglie in lotta erano già noti nel Trecento, inserite da Dante nella sua Commedia (Purgatorio, VI, 105). Solo i Montecchi sono veronesi, i Capuleti sono in origine bresciani, anche se i novellieri ne porranno la dimora in un'unica città. Il contesto storico in Dante non fa riferimento alle vicende dell'amore contrariato tra gli amanti di queste famiglie, che non vi appaiono. Piuttosto è un discorso politico contro le faide tra Guelfi e Ghibellini delle diverse città-stato che insanguinavano e dividevano l'Italia. Non si trattava dunque di una lotta intestina ma tra clan di due città rivali. Luigi da Porto nella sua Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti, pubblicata nel 1530 circa, diede alla storia molto della sua forma moderna, rinominando i giovani Romeus e Giulietta e trasportando l'azione da Siena a Verona (città che ai tempi di Da Porto era strategicamente importante per Venezia), all'epoca di Bartolomeo della Scala, nel 1301-1304. Luigi da Porto, nello scrivere la storia, si ispirò a due castelli presenti nel comune di Montecchio Maggiore che poteva scorgere dalla sua villa in Comune di Montorso Vicentino. I due castelli esisono ancor oggi e sono intitolati a Giulietta e Romeo. Shakespeare arricchì e trasformò stilisticamente la trama in modo più intenso con le vivide caratterizzazioni dei personaggi minori, tra cui Benvolio, amico di Romeo e vicino al Principe, nelle funzioni di testimone della tragedia, la nutrice che rappresenta un momento di comica leggerezza, e infine Mercuzio, creatura scespiriana di straordinaria potenzialità drammatica e figura emblematica, che incarna l'amore dionisiaco e vede la donna solo nel suo aspetto più immediatamente materiale. Romeo rivela però una concezione più alta, che innalza Giulietta oltre la pura materialità dell'amore. In Shakespeare il tempo rappresentato si comprime al massimo, aumentando così l'effetto drammatico. La vicenda, originariamente della durata di nove mesi, si svolge in pochi giorni, da una domenica mattina di luglio alla successiva notte del giovedì. Il percorso drammaturgico si brucia in una sorta di rito sacrificale, con i due giovanissimi protagonisti travolti dagli avvenimenti, e (come scrive Silvano Sabbadini in una sua introduzione all'opera) dall'impossibilità di un passaggio all'età adulta, alla maturazione. Al tempo in cui il Bardo di Avon iniziava la sua carriera drammaturgica, la storia dei due amanti infelici aveva ormai fatto il giro dell'Europa, riempiendo non solo le librerie ma anche gli arazzi delle case. Il Brooke stesso ci parlava già, trent'anni prima dell'esordio di Shakespeare, dell'esistenza di un famoso dramma sull'argomento, non specificandone però l'autore. La popolarità di questo protodramma, anche se non ci sono pervenuti copioni né adattamenti, induce facilmente a pensare che molti autori minori avessero già messo in scena la storia un gran numero di volte prima che il Shakespeare si cimentasse con la propria versione. L'opera è stata scritta presumibilmente tra il 1594 e il 1596. Nel testo del dramma, in una battuta della balia, si afferma come siano passati esattamente undici anni da un terremoto che avrebbe scosso la città di Verona. Per quanto non si possa fare affidamento sulla buona memoria di un personaggio, parte della finzione scenica, questo elemento ha suscitato interessanti riflessioni. Di quale città sta parlando Shakespeare, di quella in cui realmente si svolge la rappresentazione (quindi di Londra) o di quella fittizia, la Verona cinquecentesca rappresentata sulla scena? Nel primo caso, quello in cui ci si riferisca al terremoto che colpì Londra nel 1580, la data sarebbe troppo prematura, perché porterebbe la composizione al 1591, anno precedente all'attività letteraria di Shakespeare, iniziata non prima della chiusura dei teatri da parte della City nel 1593. Più felice cronologicamente sarebbe caso mai il riferimento di Sidney Thomas al terremoto europeo del 1584, ma il fatto che la scossa fosse avvertita in modo molto intenso tra le Alpi come afferma Sarah Dodson non avrebbe certo aggiunto colore locale alla tragedia, non potendo il pubblico inglese disporre di informazioni di prima mano su Verona, città di cui lo stesso Shakespeare avrebbe avuto solo una conoscenza indiretta e sommaria attraverso opere scritte, ma non certo italiane. Per fare più luce sulla data di composizione è utile tenere in considerazione il lasso di tempo che intercorre tra il 1594 (la riapertura dei teatri) e il 1597, data della stampa non autorizzata del cattivo in-quarto. Gibson e altri notano comunque che prima del 1597 l'opera era già stata rappresentata, e che prima di mettere in scena qualsiasi rappresentazione occorrono diversi mesi di prove e di preparazione. Questo ci farebbe scendere suppergiù al 1596. Una data che si situa tra il 1594 e il 1596 sarebbe confortata dall'esame di opere stilisticamente affini a Romeo e Giulietta. I due gentiluomini di Verona, (che C. Leech attribuisce al 1593-1594) e La commedia degli errori che probabilmente la precedette di poco. La tragedia prende le sue mosse dal contesto storico dell'epoca. Nel periodo in cui il dramma è ambientato, l'Italia non esisteva ancora come stato unitario, e i suoi Comuni erano divisi, in guerra tra loro e con lo Stato Pontificio. Verona e Venezia in particolare furono nel Cinquecento una spina nel fianco della Chiesa Cattolica. Nel Regno d'Inghilterra, d'altro canto, nel periodo in cui il dramma venne composto regnava Elisabetta I che, come tutti i sovrani britannici successivi a Enrico VIII (padre di Elisabetta), era a capo della chiesa protestante anglicana. È quindi comprensibile che Romeo e Giulietta dipinga l'ambiente cattolico a tinte fosche, evocando sulla scena le paure diffusesi in Inghilterra in seguito al formale distacco della Regina Elisabetta dalla Chiesa di Roma (dopo i tentativi di restaurazione cattolica della sorellastra Maria, che la precedette sul trono) che provocò quindi l'uscita dalla coalizione di stati cattolici, e l'aperto sostegno a tutti i partiti protestanti europei. In questo periodo si consumarono le Guerre di Religione (1572-1604) francesi, la cui violenza era culminata, venti anni prima della composizione della tragedia, nella sanguinosa Notte di San Bartolomeo. Elisabetta, dopo lo scisma consumato dal padre, fece adottare un catechismo diverso da quello cattolico (Book of Common Prayer), permettendo la traduzione in lingua inglese delle Sacre Scritture. Nel 1588 la regina, dopo avere rifiutato la corte insistente del cattolicissimo Filippo II di Spagna, sconfigge, complice l'instabile clima atlantico, l'Invincible Armada inviata dal sovrano per conquistare l'isola. Se la vittoria sancì la superiorità marittima dell'Inghilterra aprendole la strada alle Americhe, scagliò però contro Elisabetta le ire di tutti i sovrani cattolici, diffondendo soprattutto a Londra un clima di paura, fomentato da intrighi di corte, spie, non certo alleviato dalla discreta presenza di una comunità di drammaturghi italiani. Il gotico inglese muove i suoi primi passi proprio dal teatro elisabettiano, il cui sfondo sono le guglie di chiese e castelli anglosassoni, arricchito di stereotipi mutuati dal mondo cattolico, quali la cripta dei delitti e delle torture, le torbide vicende di amanti perseguitati dentro le mura di conventi spagnoli o italiani. In questo clima, frate Lorenzo diventa lo strumento di una provvidenza che opera al rovescio. Benché motivato dalle migliori intenzioni, il suo piano, complice il fato avverso, porta al suicidio di Romeo e Giulietta. Le arti magiche del frate, creatore della pozione narcotica, gettano una luce sinistra e provocano nel pubblico lo stesso terrore che si impossessa di Giulietta un istante prima di bere la fiala. Alcuni contestano il fatto che la fine di Romeo e Giulietta non accada per le loro debolezze ma sia soltanto il frutto di azioni di terzi o incidenti. Al contrario delle altri grandi tragedie, "Romeo e Giulietta" è più una tragedia di contrattempi e di destino beffardo. Tuttavia, altri considerano l'avventatezza e la giovinezza di Romeo e Giulietta la causa della loro morte. L'intromissione di Romeo nel duello tra Mercuzio e Tebaldo è a fin di bene, per separarli, ma produce ironicamente la morte di Mercuzio, mentre la lettera non è recapitata a Romeo solo per colpa della peste. Infine, se solo fosse arrivato un'istante dopo al cimitero dei Capuleti, Romeo avrebbe potuto sincerarsi della salute di Giulietta buttando alle ortiche la sua fiala di veleno. Che la responsabilità personale potrebbe se esercitata al meglio solo posporre il tragico destino degli amanti pare trasparire dalle numerose allusioni scespiriane, in cui si parla dell'influsso nefasto delle stelle, del timore di terremoti improvvisi e di folgori a ciel sereno. Al di là di questo quadro generale, i critici hanno formulato osservazioni non sempre concordi. Dal punto di vista stilistico, le opinioni non sono meno contrapposte. Romeo e Giulietta è uno dei primi lavori di Shakespeare. Classificato come una tragedia, non ha le caratteristiche delle successive 'grandi tragedie' come Amleto e Macbeth. La struttura drammaturgica di "Romeo e Giulietta" è in pratica una via di mezzo tra una commedia (trae molto materiale dai Due gentiluomini di Verona) e una tragedia. Il sacrificio dei due amanti, al di là dell'evento tragico, ha delle ricadute positive. Sebbene al prezzo delle vite dei due giovani amanti, una faida ormai antica cessa per sempre, permettendo così di evitare ulteriori scontri che avrebbero portato ad altri morti e altro dolore. D'ora in poi, capiamo che Verona godrà di una lunga pace e che le due famiglie hanno suggellato una duratura amicizia. L'uso del contrasto tra luce ed ombra anima incessantemente le vicende di Romeo e Giulietta. Normalmente questa dinamica è percepita come contrasto tra vita e morte, amore e guerra, ma qui il rapporto si ribalta, perché se le faide tra Capuleti e Montecchi avvengono alla luce del sole, il contratto amoroso dei due amanti è suggellato prima ancora che dal matrimonio, dall'"incostante luna", sotto la quale Romeo implora la sua amante. Prima ancora della scena del balcone, alla festa dei Capuleti in cui la prima volta Romeo vede Giulietta afferma che il riferimento alla folgore amorosa si avvera drammaticamente nella cripta di Giulietta, quando Romeo ne ammira la bellezza prima di porre fine alla sua vita. L'amore stesso tra i due amanti è un ossimoro, un paradosso vivente che nell'impossibilità di essere risolto vince la morte stessa, ed è proprio la morte che dà vita e illumina la notte nell'estasi più grande provata da Romeo alla vista dell'amata. Ciò che il giorno aveva negato ai due amanti, dal riconoscimento della loro unione alla celebrazione di un matrimonio è alla fine concesso nella cripta, la chiesa sul cui altare trionfa l'amore più profondo, che contagia finalmente anche le loro famiglie. L'opera, così ricca di ossimori, è in fondo essa stessa concepita in questa visione in cui i ruoli di luce e tenebre si scambiano continuamente. Il giorno assume la connotazione negativa del tempo ordinario, quello che sancisce i riti della vita sociale borghese e delle sue regole, dalle faide tra i servi alla comparsa di Paride che, promesso in sposo a Giulietta dal vecchio Capuleti, precipita gravemente la situazione dei due amanti. Il giorno anche è il trionfo della ragione economica e degli interessi pratici (l'amore inteso come matrimonio di convenienza), dell'ordine politico che pure è pervertito per garantire unicamente gli interessi materiali dei Capuleti e dei Montecchi anche sfidando il monito di Escalo, principe di Verona, con l'uccisione del suo caro amico e parente Mercuzio. Garante di quest'ordine negativo è Marte, dio della guerra e di quel falso senso di onore che infiamma le due famiglie spargendo di sangue le strade della 'bella Verona'. La concezione dell'amore di questa società è puramente terreno, anche se ufficialmente negato, rivelato nella sua crudezza solo dalle battute erotiche di Mercuzio alle oscenità popolane della balia. Il discorso della regina Mab è una presa in giro all'amore, e Mercuzio stesso sarà punito da Venere dalle stesse fate ed elfi da lui evocati con sarcasmo. Mercuzio non conoscerà l'amore e solo l'amore tra Romeo e Giulietta, protetti da Venere, riuscirà, pur a caro prezzo, a trascendere l'erotismo senza negarlo, sublimandolo in un sentimento più alto, perfetto nell'eternità, eterno come quest'opera che ha acquistato ormai un valore universale. Tra i numerosi adattamenti operistici ricordiamo Roméo et Juliette di Charles Gounod (1867) su libretto di Jules Barbier e Michel Carré e Giulietta e Romeo (1922) di Riccardo Zandonai su libretto di Arturo Rossato. La storia di Romeo e Giulietta ha inoltre ispirato I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini (1830). Sennonché il librettista Felice Romani si basò su una fonte italiana: la Novella IX di Matteo Bandello, antecedente al testo shakespeariano. Lo stesso poeta aveva fornito il libretto al Romeo e Giulietta di Nicola Vaccaj che debuttò a Milano al Teatro alla Canobbiana il 31 ottobre 1825, precedendo la versione di Bellini, ed è considerata l'opera più importante di Vaccaj. Tra le opere strumentali ispirate alla tragedia ricordiamo Romeo e Giulietta, Ouverture Fantasia da Shakespeare di Pëtr Il’ič Čajkovskij e il Roméo et Juliette, Sinfonia drammatica (1839) di Hector Berlioz, sebbene l'ultima sia prevalentemente composta da parti vocali. Berlioz fu probabilmente ispirato da una rappresentazione della tragedia del 1827: ne era stato talmente impressionato da sposare Harriet Smithson, l'attrice che impersonava Giulietta. Prokofiev scrisse inoltre tre suite per orchestra basate sulla musica del suo balletto, di cui trascrisse inoltre dieci pezzi per pianoforte. Il musical West Side Story, diventato anche un film, è basato su Romeo e Giulietta ma la storia è ambientata a metà del XX secolo a New York City e le famiglie rivali sono rappresentate da due bande giovanili di diversa etnia. Roméo et Juliette, de la Haine à l'Amour, un musical di Gérard Presgurvic, debuttò il 19 Gennaio 2001 al Palazzo dei Congressi di Parigi, in Francia. Ha già attirato (2005) sei milioni di persone. Il primo Giugno 2007 ha debuttato all'arena di Verona l'opera popolare di Riccardo Cocciante Giulietta e Romeo. Esistono oltre quaranta versioni cinematografiche della storia di Romeo e Giulietta, di cui la prima nel 1900. La versione del 1936 fu una tra le più importanti tra i classici di Hollywood. Il film West Side Story, ispirato a Romeo e Giulietta con le musiche di Leonard Bernstein, vinse 10 Oscar. Nel 1968 Franco Zeffirelli diresse il film che vinse due Oscar. Abel Ferrara trasse dalla tragedia il suo film China Girl. Il film del 1996 Romeo + Giulietta, diretto da Baz Luhrmann, nonostante l'ambientazione contemporanea mantiene il testo nella sua forma integrale. Fonte:http://it.wikipedia.org/wiki/Romeo_e_Giulietta