lunedì 25 settembre 2006

Never forget: STEVE BIKO

Groper


«Abbiamo ucciso Biko»
[Massimo A. Alberizzi, «Abbiamo ucciso Biko», Corriere della Sera 29 gennaio 1997]

Ci sono voluti vent'anni, ma alla fine il sipario è stato alzato sulla morte di Steve Biko: il leader antiapartheid (come si era sempre sospettato) è stato assassinato da un gruppo di poliziotti che ieri hanno confessato. Gli agenti hanno chiesto perdono alla speciale commissione per la Verità e la Riconciliazione, presieduta da Desmond Tutu, organo autorizzato a raccogliere confessioni sulle violazioni dei diritti umani durante il regime razzista e concedere amnistie.

Tra gli assassini (almeno 10) figurano il colonnello Harold Snyman, che coordinava gli interrogatori, il tenente colonnello Gideon Mieuwoudtm, il capitano Daantje Siebert e i sottufficiali Ruben Marx e Johan Beneke. Il gruppo ha confessato di aver ammazzato (o fatto ammazzare) durante il regime di segregazione razziale parecchi attivisti neri che lottavano per l'abolizione dell'apartheid.

Tra gli altri, nel 1985, furono uccisi barbaramente quattro studenti, Matthew Goniwe, Sicelo Mhlawli, Fort Calata e Sparrow Mkhonto: furono rapiti, bruciati a sangue freddo, le loro ceneri disperse nel fiume Fish e le loro auto abbandonate al confine con il Lesotho per far credere che i quattro erano fuggiti all'estero.

Steve Biko morì (a quasi 30 anni) il 12 settembre 1977 in un ospedale di Pretoria dove era arrivato (dalla prigione di Port Elizabeth, lontana oltre 1000 chilometri) incosciente per le ferite alla testa provocategli dalle percosse dei poliziotti.

Assieme a Mandela è la figura simbolo della lotta contro la segregazione razziale. Era giovane, ma aveva già entusiasmato le folle con i suoi trascinanti comizi nelle township. Non predicava l'odio razziale contro i bianchi. Come testimonia il suo libro, «Black as I am» («Nero come sono»), invitava i. neri a distinguere tra i bianchi e il loro governo. Non era dunque una questione di razza e colore. Piuttosto era un fatto politico che come tale doveva essere trattato. Lotta a un sistema, dunque, e non guerra generalizzata a chi aveva la pelle diversa.

Per questo, pur essendo amato dalla sua gente, si era attirato le ire degli elementi più radicali delle lotta antiapartheid che gli rimproveravano troppa indulgenza con il «nemico». Accuse in gran parte infondate; la sua analisi sulla politica dell’odiato regime, infatti, era spietata e dura. L'apartheid andava combattuto caparbiamente fino alla sconfitta e alla caduta.

Sapeva però che il nuovo Sudafrica dei suoi sogni, fatto di gente libera e uguale, non poteva fondarsi sull'odio e sulla discriminazione razziale (seppure al contrario), sulle vendette e sulle ritorsioni. «L'odio» ‑ diceva. ‑ «non si combatte con l’odio». Ciononostante non perdeva occasione di accusare il governo sostenendo, tra l'altro, l'importanza delle sanzioni internazionali per isolare il Sudafrica. Memorabile, in questo senso, l'arringa pronunciata davanti ai giudici il giorno dei suo ultimo processo, quello che lo portò alla prigione di Port Elizabeth e alla morte: un atto d’accusa scolpito nelle coscienze di parecchi intellettuali occidentali.

La sua scomparsa suscitò grande impressione in tutto il mondo tanto che gli fu dedicata, una canzone e la sua figura ispirò un film.

L'anno scorso la vedova di Biko, aveva presentato alla Corte Suprema un’istanza per impedire alla commissione presieduta da Tutu di concedere l'amnistia ai responsabili dei crimini più gravi. il ricorso fu respinto.

Una canzone e un film rilanciarono la leggenda.

Un giornalista bianco e un attivista di colore, uniti nella lotta contro l'apartheid. Il nero viene ucciso in carcere, il bianco fugge dal Sudafrica per raccontare al mondo la morte del suo amico. La storia di Donald Woods e di Steven Biko è diventata un film, «Cry Rreedom ‑ Grido di libertà», nel 1987. Un film diretto da sir Richard Attemborough, il regista di «Gandhi».

Il Sudafrica decide di bandire il film, Hollywood risponde premiandolo con tre nomination all'Oscar (tra cui quella per Denzel Washington, che qualche anno dopo interpreterà un altro eroe dei neri, Malcolm X). Peter Gabriel scrive «Biko», canzone dedicata all'eroe dei neri sudafricani. E diventa un inno antiapartheid per i ragazzi di tutto Il mondo.

A sorpresa nel luglio 187, Pretoria decide di permettere la proiezione di «Grido di libertà». Ma il giorno della prima il governo fa spegnere i protettori nelle sale gremite di spettatori. il motivo? «Il film fomenta l'agitazione e il clima di sommossa», è la motivazione ufficiale. Il comandante in capo della polizia, Hendrik de Witt, fa sequestrare la pellicola. Ma molte sale continuano lo stesso a proiettare il film per tutto il giorno.

dal sito www.presentepassato.it

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