giovedì 8 marzo 2007

8 marzo rubato

Ecco un articolo che oggi mi è molto piaciuto:
Come sempre, l'8 marzo offre molti spunti. Si può (a) parlare delle donne che vanno insieme in pizzeria e poi a vedere spogliarelli maschili; (b) lamentarsi molto perché ci sono ancora pochissime donne ministro e amministratore delegato; (c) ricordarsi che molte donne, anche da noi, non aspirano a ministeri e stock options; ma solo a uscire di casa, a non uscire solo accompagnate e coperte dalla testa ai piedi; e poi a non farsi menare (importante) o uccidere. L'opzione (c) è la meno gettonata. Perché sono donne difficili da raggiungere, perché vengono da culture diverse dalla nostra; perché accusare di maltrattamenti uomini di culture diverse, quasi sempre immigrati, può far sentire razziste. E islamofobiche, quando una donna è vittima di un musulmano si teme di scivolare nel politicamente scorrettissimo, o peggio. È un timore forte a sinistra, anche tra quel che rimane del movimento femminista. La scorsa estate, quando la Hina fu sgozzata dal padre, qualcuno notò le scarse reazioni; una femminista storico-sventata rispose «beh, il guaio è che è successo ad agosto, quando siamo tutte in vacanza», e non fu una bella figura. La brutta figura è continuata con il funerale (niente femministe, nessuna eletta dal popolo tranne Daniela Santanchè di An) e ora con il processo: nessuna organizzazione di donne si è costituita parte civile. Sulle femministe non c'è molto da infierire: già decenni fa il movimento si era ripiegato su sé stesso e sul «pensiero della differenza» ed era imploso. Sulle donne — e uomini — di sinistra ci sarebbe da dire di più. Delle immigrate si occupano poco o nulla. Non è un'anomalia italiana, anzi: in Germania avvocate come la turco-tedesca Seyran Ates hanno smesso di esercitare causa minacce; dall'Olanda Ayaan Hirsi Ali, sceneggiatrice del film Submission che costò la vita a Theo Van Gogh, è dovuta scappare; ora sta a Washington, in una fondazione conservatrice. E spesso è un paradosso, lo è nel caso di Hirsi Ali che si definisce «illuminista» e teorizza i danni alle donne del bigottismo religioso. Ma tant'è. E tanto vale riflettere. Chiedendosi di quale aiuto hanno bisogno le donne immigrate; come fa, isolata e benemerita, Susanna Camusso, capo della Cgil Lombardia, non a caso una sindacalista. Chiedendosi se lavorare per le donne è solo puntare al «potere rosa» o attorcigliarsi in un femminismo introspettivo; o se essere femministe — di destra e sinistra — oggi non voglia dire occuparsi dei diritti di tutte le donne che ancora ne hanno pochi. Sono la maggioranza, nel mondo, e a guardarsi in giro la situazione non migliora. Buon 8 marzo, comunque.
Maria Laura Rodotà
08 marzo 2007 (Corriere della sera)
(i fiori sono di Richter)

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