domenica 4 novembre 2007

Alluvione di Firenze

L'Alluvione di Firenze del 4 novembre 1966 è l'ultima di una serie di esondazioni del fiume Arno che hanno nel corso dei secoli mutato il volto della città di Firenze. Avvenuta nelle prime ore del 4 novembre 1966, fu uno dei più gravi eventi alluvionali avvenuti in Italia a seguito di un'eccezionale ondata di maltempo che causò forti danni non solo a Firenze ma in gran parte della regione e più in generale in tutta Italia. In Toscana infatti, contrariamente all'immagine che si ha in Italia ed all'estero, l'alluvione del 4 novembre 1966 non colpì solo il centro storico di Firenze ma l'intero bacino dell'Arno sia a monte che a valle della città: sommersi dalle acque furono svariati centri del Casentino e del Valdarno in Provincia di Arezzo, del Mugello (dove il fiume Sieve straripò), varie cittadine a valle di Firenze come Empoli e la città di Pontedera in Provincia di Pisa; le campagne rimasero poi allagate per giorni anche dopo il disastro e molti comuni minori risultarono isolati e danneggiati gravemente. Nelle stesse ore, sempre in Toscana, una devastante alluvione causata dallo straripamento del fiume Ombrone colpiva gran parte della piana della Maremma sommergendo completamente la città di Grosseto. Nel frattempo altre zone d'Italia venivano devastate dall'ondata di maltempo: è il caso del Veneto che vedeva il suo capoluogo Venezia quasi completamente sommerso dalla marea più alta a memoria d'uomo, molti dei suoi fiumi come il Piave, il Brenta e il Livenza straripati, e ampie zone del Polesine allagate; il Friuli, dove lo straripamento del Tagliamento coinvolgeva ampie zone e comuni del suo basso corso come Latisana; o ancora del Trentino dove la città di Trento veniva investita pesantemente dallo straripamento dell'Adige.
Le cifre della piena dell'Arno In meno di 24 ore le precipitazioni sulla zona di Firenze ammontarono a oltre 190 mm (la media annua delle precipitazioni nella stessa zona è 921 mm). In tutto il bacino dell'Arno si ebbero precipitazioni simili. L'Osservatorio Ximeniano, che da secoli registrava le condizioni meteorologiche nella città, comunicò che la pressione atmosferica calò subitaneamente di oltre 20 millibar, e che ci fu un repentino aumento della temperatura. Si ipotizzò quindi che un ciclone si fosse abbattuto sulla penisola convogliando una grande massa d'aria umida e calda. L'ENEL diramò un dettagliato rapporto sull'accaduto nei giorni successivi (le dighe delle centrali idroelettriche di Levane e La Penna erano state indicate come possibili cause aggravanti) in cui stimava la quantità d'acqua che aveva colpito Firenze a circa 250 milioni di metri cubi, di cui 120 provenienti dall'alto corso dell'Arno, il resto dagli affluenti a valle delle dighe, in particolare il fiume Sieve. Un tecnico dei Lavori Pubblici stimò la quantità d'acqua in 400 milioni di metri cubi. La portata del fiume al massimo della piena venne stimata in 4000-4500 metri cubi al secondo all'altezza di Firenze.Cronaca del dramma Gli ultimi giorni di ottobre ed i primi del novembre 1966 erano stati caratterizzati da violente ed intense precipitazioni, interrotte solo da brevi schiarite nel giorno di Ognissanti. Le piogge erano aumentate di intensità nella giornata del 3 novembre ma a Firenze e dintorni nessuno si dava eccessive preoccupazioni, dato che le piene dell'Arno, del Bisenzio, dell'Ombrone Pistoiese e degli altri corsi d'acqua erano per tutti un "classico d'autunno", occasione magari per una chiacchierata con i concittadini sulle spallette e sugli argini; anzi, in città e nei dintorni ci si preparava a trascorrere in casa il 4 novembre, anniversario della vittoria nella Prima guerra mondiale, allora festa nazionale. Le vittime dell'alluvione furono relativamente poche anche per questa casualità: nessuno può dire cosa sarebbe accaduto se le acque avessero sorpreso i fiorentini che andavano al lavoro o i contadini all'opera nei campi in un giorno feriale. Il ponte dell'Anchetta Il ponte sospeso dell'Anchetta, località sulla sponda destra vicino a Le Sieci lungo la statale aretina, fu la prima struttura costruita sull'Arno nella zona fiorentina a cedere intorno alla mezzanotte. Il ponte era stato costruito come scommessa personale tra il 1947 e il 1949 da una persona sola, Guido Bartoloni, il quale era un barcaiolo figlio di barcaioli. Bartoloni aveva comprato i materiali e li aveva portati sulle rive vicino a Vallina; per i cavi utilizzò una vecchia teleferica militare. L'inaugurazione del ponte avvenne il 10 giugno 1949. Bartolini recuperò piano piano le spese del ponte facendo pagare il pedaggio 10 lire. La furia dell'Arno distrusse i cavi e travolse il ponte. Parti delle strutture rimasero per diversi anni vicino alla riva. Il ponte non fu più ricostruito.
Carlo Maggiorelli Alle ore 3.00 del 4 novembre la nuova sede de La Nazione di via Paolieri era in uno stato di totale sorpresa. Franco Nencini telefona a Carlo Maggiorelli, 52 anni, che era addetto alla sorveglianza degli impianti idrici dell'Anconella. Maggiorelli sta facendo il turno di notte e sta lavorando dalle ore 20.00 del 3 novembre. Nencini chiede all'uomo cosa stia succedendo. Maggiorelli gli risponde che lì è un totale disastro, che stanno affogando tutti e che all'1.00 avevano dovuto bloccare i motori. Nencini lo esorta ad andarsene e a mettersi in salvo finché è in tempo. Maggiorelli resiste dicendo di non poter abbandonare la sua postazione, anche perché forse non può più fuggire. Nencini insiste, ma la telefonata viene interrotta dall'onda travolgente dell'Arno. Maggiorelli muore in diretta telefonica; verrà ritrovato due giorni dopo in un cunicolo ricoperto di fango.Un soccorso improvvisato La zona tra via de' Benci e corso dei Tintori è completamente allagata. Verso le 5 di mattina del 4 novembre un uomo sta gridando aiuto: è attaccato ad un palo della segnaletica stradale, ha il corpo sommerso e dall'acqua spunta solo la sua testa. Non ci sono soccorsi organizzati. Qualcuno dalle finestre vicine crea una corda fatta con lenzuola annodate. I tentativi di lancio vanno più volte a vuoto. Dopo averla lanciata più volte alla fine l'uomo riesce ad aggrapparvisi. Dalle finestre si spera che non si spezzi. Dopo qualche minuto l'uomo riesce a mettersi finalmente in salvo. L'alluvione del 1966 fu un evento eccezionale ed inaspettato per le sue proporzioni; mai a Firenze l'Arno, che pure aveva esondato spesso, aveva raggiunto una tale furia, come attestano le targhe relative alle alluvioni precedenti come quella, fino ad allora reputata disastrosa, del 3 novembre 1844. Il discorso vale anche per i comuni limitrofi, da sempre abituati alle sfuriate degli affluenti dell'Arno o dei fossi, dove la gente si aspettava la solita piccola inondazione di cinquanta centimetri, evento ricorrente in alcune zone come le frazioni meridionali di Campi Bisenzio e dove ogni famiglia era munita della dotazione anti-allagamento composta da cateratte, secchi e scopettoni pesanti. Le vittime: la verità dopo quaranta anni Uno dei principali "misteri" dell'alluvione fiorentina è sempre stato il numero delle vittime: la segretezza ed il riserbo delle autorità sull'argomento fin dai primi giorni contribuirono a far diffondere macabre leggende metropolitane come quella di decine di fiorentini che avevano trovato una morte orribile per essere stati sorpresi dalle acque nel sottopasso di Piazza della Stazione. Oltretutto i fiorentini asserragliati in casa avevano visto scorrere sotto le loro finestre decine di manichini portati via delle sartorie e dalle boutique del centro, scambiandoli per cadaveri e questo spettacolo aveva rafforzato le dicerie sulla presunta strage. Solo recentemente, l'Associazione Firenze Promuove è riuscita a trovare e pubblicare un documento ufficiale della Prefettura del novembre 1966 che fissò in 34 il numero delle vittime, di cui 17 a Firenze e 17 nei comuni della provincia. Persero la vita in quei drammatici giorni, per cause più o meno dirette dovute all'alluvione: Elide Benedetti, 66 anni. La signora Elide, inferma sulla carrozzina, abitava in Via delle Casine e trovò una morte orribile: alcuni carabinieri, impossibilitati a portarla via, la legarono alle travi sul soffitto della sua stanza per impedire che venisse travolta; i carabinieri andarono a cercare soccorso, ma nel frattempo la donna morì annegata, assistita fino all'ultimo da un parroco coraggioso.
Giuseppina Biancalani, 76 anni. Abitava in Via Aretina e morì per le conseguenze di una caduta.
Guido Chiappi, 73 anni. Abitava in Via Arnolfo e fu travolto dalla corrente. Pietro Cocchi e Giuseppina Poggioli, 74 anni. I due, marito e moglie, vivevano in Via Gian Paolo Orsini. Nonostante fossero stati avvertiti, non si misero in salvo anche perché l'uomo era infermo. Maria Facconi, 48 anni, Viveva in Piazza Santa Croce e morì per un infarto dopo essere stata portata in salvo perché non fu possibile trovare l'ossigeno per la respirazione artificiale. Angela Fanfani, 69 anni. Morì nella sua abitazione in un sottosuolo di Via Aretina nonostante un disperato tentativo dei vicini di salvarla.
Italia Frusi, 85 anni. La signora, cieca e inferma, morì nella sua camera del Pensionato del Sacro Cuore in via Masaccio. Lino Leporatti, 65 anni. Viveva in via Benedetto Marcello e fu travolto dalla corrente.
Ermenegildo Livi, 81 anni. Abitava in Via Francesco Datini e morì per un infarto dopo essere stato messo in salvo. Carlo Maggiorelli, 53 anni. Di Pozzolatico, addetto alla sorveglianza degli impianti idrici dell'acquedotto dell'Anconella, fu portato via dalla furia delle acque mentre rispondeva ad una telefonata che lo esortava a fuggire. Angelina Marè, 59 anni, morta annegata nella sua casa di Borgo Pinti.Cesare Martelli, 54 anni. Fu travolto dalle acque per essersi trattenuto nella sua casa di Via Ghibellina per cercare di salvare dei beni di valore. Fedora Nesi, 77 anni. Paralitica, morì annegata nella sua casa di Via Ghibellina. Armido Peruzzi, 71 anni. Messosi in salvo dalla prima ondata, morì annegato nella sua casa di Via di Rusciano, dove era tornato per recuperare alcuni beni, travolto da una seconda ondata. Luciano Sonnellini, 25 anni. Detenuto del carcere delle Murate, fu travolto dalla corrente mentre cercava di raggiungere una delle case degli ospitali fiorentini. Carlo Vensi, 80 anni. Muore per l'esplosione di un deposito di carburo al piano terreno della propria abitazione di Via Scipione Ammirato.Corinna Cintelli, 70 anni, di Sant'Angelo a Lecore. Morì annegata dopo essere scivolata da un patino mentre stava venendo messa in salvo. Guido Borghi, 64 anni. Morì a Castelfiorentino mentre stava cercando di salvare il bestiame. Giovanni e Vittorio Cortini, di 58 e 24 anni. Morirono per il crollo della loro casa a Castelfiorentino. Agostina Bini, 73 anni, di Empoli. Fu sorpresa dall'acqua mentre si trovava a letto ammalata; salvata, morì pochi giorni dopo in ospedale per i postumi. Palmiro Mancini, 66 anni, di Empoli; morto travolto dalla corrente. Orfea Casini, 68 anni, di Montelupo Fiorentino, morta travolta dalla corrente. Giovanni Chiarugi, 68 anni, di Montelupo Fiorentino, annegato. Particolarmente drammatico fu il bilancio per il comune di Reggello, dove morirono nel crollo della loro casa Brunetto Gonnelli (43 anni); Donatella Gonnelli (6 anni); Guidalma Gonnelli (9 anni); Lorenzo Gonnelli (31 anni); Rosina Merciai (43 anni) e Carolina Nocentini (70 anni).
Il comune di Sesto Fiorentino pagò anch'esso un tragico prezzo umano all'alluvione: nella zona dell'Osmannoro persero la vita i piccoli Leonardo Sottile, di soli tre anni e mezzo, morto per l'esplosione di un deposito di carburante nella casa dove abitava con la famiglia e Marina Ripari, 3 anni, strappata dalle braccia del padre dalla corrente. Gli altri danni: il patrimonio artistico e i restauri È inevitabile che più duratura nella memoria sia rimasta la tragedia, sia pure incruenta, del patrimonio artistico della città: migliaia di volumi, tra cui preziosi manoscritti o rare opere a stampa furono coperti di fango nei magazzini della Biblioteca Nazionale Centrale, e una delle più importanti opere pittoriche di tutti i tempi, Il Crocifisso di Cimabue conservato nella Basilica di Santa Croce deve considerarsi, nonostante un commovente restauro, perduto all'80%. La nafta del riscaldamento impresse le tracce del livello raggiunto dalle acque su tanti monumenti; le Porte del Paradiso del Battistero di Firenze furono spalancate dalle acque, e dalle ante sbattute violentemente si staccarono quasi tutte le formelle del Ghiberti. Innumerevoli i danni ai depositi degli uffizi, ancora non completamente risarciti dopo anni di indefessi restauri, che tra l'altro hanno portato le isituzioni fiorentine per il restauro ad essere considerate fra le principali del mondo. Un vero e proprio esercito di giovani e meno giovani di tutte le nazionalità volontariamente, subito dopo l'alluvione, arrivarono a migliaia in città per salvare le opere d'arte e i libri, strappando al fango e all'oblio la testimonianza di secoli di Arte e di Storia. Questa incredibile catena di solidarietà internazionale rimane una delle immagini più belle nella tragedia. I giovani, chiamati ben presto gli "Angeli del fango" sono anche uno dei primi esempi di mobilitazione spontanea giovanile nel XX secolo. Per la tutela del patrimonio artistico danneggiato si mise subito in moto una gara a mettere al sicuro e approntare i primi restauri ai beni danneggiati. Guidati dal lungimirante soprintendente Ugo Procacci, i laboratori fiorentini dell'Opificio delle pietre dure raggiunsero gradulamente quei livelli di avanguardia e maestranza tecnica che tutt'ora li rendono una delle strutture più importanti a livello mondiale nel campo del restauro. Oltre ai metodi tecnico scientifici allora disponibili, e a sviluppare nuove tecnologie allora ancora embrionali, il Procacci fu uno dei primi a basare gli interventi di restauro cercando e studiando le fonti scritte lasciate dagli artefici nel corso dei secoli. La più profonda comprensione di tecniche e materiali antichi infatti si basò (secondo una scelta tanto ovvia per la nostra mentalità quanto inusitata per l'epoca) sulla lettura attenta di tutte quelle testimonianze antiche che spiegavano per filo e per segno i procedimenti utilizzati per creare i manufatti artistici. Ricettari come Teofilo monaco e trattati come il Libro dell'Arte di Cennino Cennini furono fondamentali per la conoscenza degli affreschi antichi e di altre tecniche e permisero un uso sapiente e calibrato delle tecniche aggiornate alle conoscenze moderne. Soccorsi L'alluvione non aveva interessato solo la città di Firenze, ma di fatto, con varia intensità, tutto il nord e centro Italia. La forza delle acque, solo in Firenze furono apportati dalla piena circa seicentomila metri cubi di fango, aveva distrutto una innumerevole serie di ponti, reso inagibili molte strade, rendendo assai difficoltosa l'opera di primo soccorso. L'alluvione fu uno dei primi episodi in Italia in cui si evidenziò l'assoluta mancanza di una struttura centrale con compiti di protezione civile: i cittadini non furono avvertiti dell'imminente fuoriuscita del fiume, tranne alcuni orafi di Ponte Vecchio che ricevettero una telefonata di una guardia notturna che li invitava a vuotare le loro botteghe; le notizie furono date in grande ritardo e i media tentarono di sottacere l'entità del disastro; per i primi giorni gli aiuti provennero quasi esclusivamente dal volontariato, o dalle truppe di stanza in città: per vedere uno sforzo organizzato dal governo bisognò attendere sei giorni dopo la catastrofe. L'unico aiuto finanziario del governo fu una somma di 500mila lire ai commercianti, erogata a fondo perduto e finanziata con il solito sistema dell'aumento del prezzo della benzina (10 lire al litro; accisa ancora presente). La FIAT ed altre case automobilistiche offrirono a chi aveva perso l'auto uno sconto del 40% per comprarne una nuova e una "supervalutazione" di 50mila lire per i resti della macchina alluvionata. Un grande merito nell'opera di sensibilizzazione si dovette ad un documentario del regista fiorentino Franco Zeffirelli, che comprendeva un accorato appello in italiano dell'attore inglese Richard Burton. Giunsero così presto nel capoluogo toscano i primi aiuti, in veste più o meno ufficiale. Un grande contributo fu dato da alcune città toscane come Prato e dai comuni della Versilia (che misero a disposizione, come già detto, pattini, gommoni e bagnini), da altri comuni e città italiane (in particolare umbre e emiliane, per ovvia solidarietà "di partito"), dalle forze armate americane di stanza in Italia, dalla Croce Rossa tedesca, da varie associazioni laiche e cattoliche, da alcune federazioni di partiti politici e, ovviamente, dalle Forze Armate Italiane. Aiuti "ufficiali" arrivarono anche dall' Unione Sovietica, dalla Cecoslovacchia e dall'Ungheria, simbolo di come l'Arno era stato capace anche di corrodere, seppur per poco, il ferro della Cortina. E subito dopo...La gente comune, con gli esperti al lavoro, non perse tempo per ripristinare le abitazioni e le attività economiche. In quei giorni di opere d'arte offese da acqua, fango e nafta si vide che un'altra opera d'arte, il wit fiorentino, aveva resistito egregiamente alla piena. Alcune trattorie devastate esposero cartelli con scritto "oggi specialità in umido" e negozi sventrati annunciavano cartelli con frasi del tipo: "ribassi incredibili, prezzi sott'acqua!", "Vendiamo stoffe irrestringibili, già bagnate". Comunque, si può dire che Firenze ritrovò una sorta di normalità in poche settimane, tanto che fu possibile addobbare il centro storico per le feste di Natale con...alberi decorati con residuati dell'alluvione. Lo spiritaccio toscano fece persino diventare umoristico e simpatico un drammatico salvataggio di alcune suore anziane di un convento di San Piero a Ponti, che erano state raggiunte da alcuni coraggiosi soccorritori versiliesi: la corrente ancora impetuosa rendeva molto difficili le operazioni, stante anche la comprensibile paura delle religiose che dovevano calarsi da una finestra. Il drammatico salvataggio si risolse però in una scena umoristica, con i soccorritori che bestemmiavano a non finire e le suore a pregare. La vicenda si concluse però al meglio col salvataggio delle suore e, passate la paura e la tensione, con reciproche attestazioni di simpatia tra i protagonisti della vicenda. A Natale giunse in visita Papa Paolo VI, che celebrò la Messa Natalizia nella cattedrale di Santa Maria del Fiore. E per tornare al wit, secondo la tradizione dell'Epifania i fiorentini appesero su Ponte Vecchio una grande calza piena di carbone, dedicandola all'Arno che in quell'anno era stato "molto cattivo". Una importante conseguenza socioeconomica dell'alluvione fu il definitivo colpo di grazia alle attività agricole e dell'allevamento nella Piana, già in crisi per il trend economico generale: molti contadini ed allevatori della zona, avendo perso tutto il materiale e le mandrie sotto le acque, decisero di non riavviare le proprie attività e di impiegarsi nell'industria o di aprire piccole attività artigianali o commerciali. Questo notevole cambiamento occupazionale fu poi alla base del successivo sviluppo manifatturiero, artigianale e commerciale della zona, che vide trasformare Calenzano, Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino, Signa ed altri comuni da territori a vocazione agricola a zone industriali. Il crocifisso di Cimabue è al Museo di Santacroce

« O brutta imbecille! E Dio, per far restar vergine una come te... affoga tutta Firenze?!? »
(L'architetto Melandri, non appena Noemi, la donna di cui è innamorato, ringrazia Dio di aver protetto la sua "integrità" con l'alluvione (da Amici miei atto II) Wiki

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