mercoledì 19 dicembre 2007

Guido Gozzano

Guido Gozzano (Torino, 19 dicembre 1883Torino, 9 agosto 1916) è stato un poeta italiano. Il nonno di Guido, il dottor Carlo Gozzano, medico nella guerra di Crimea, molto amico di Massimo D'Azeglio e appassionato della letteratura romantica del suo tempo, era un borghese benestante, proprietario di terre e di una villa in Agliè Canavese; suo figlio Fausto (1839-1900), ingegnere, costruttore della ferrovia canavesana che congiunge Chivasso con Ivrea, dopo la morte della prima moglie, dalla quale aveva avuto già cinque figlie - Ida, Faustina, Alda, Bice e Teresa - sposò nel 1877 la diciannovenne agliese Diodata Mautino (1858-1947), giovane con temperamento d'artista, amante del teatro e attrice dilettante, figlia del senatore Massimo, altro ricco possidente terriero, proprietario in Agliè di una vecchia e nobile casa e, nei pressi, della villa «Il Meleto», che vantava un piccolo parco racchiudente un laghetto nel cui mezzo sorgeva un isolotto: un tocco di esotismo era poi dato dal capanno, costruito di bambù intrecciati. Da questo secondo matrimonio nacquero Erina (1878-1948), Arturo e Carlo, morti prematuramente, Guido e infine Renato (1893-1970). Guido fu dunque il quartogenito della famiglia: nato il 19 dicembre 1883 a Torino, nella casa che i genitori possedevano in via Bertolotti 2, venne battezzato nella vicina chiesa di Santa Barbara il 19 febbraio con i nomi di Guido, Davide, Gustavo e Riccardo. Frequenta la scuola elementare dei Barnabiti e poi la «Cesare Balbo», con l'aiuto, svogliato com'è, di un'insegnate privata. Gli studi liceali furono ancora più travagliati: iscritto nel 1896 al Liceo classico Cavour, fu bocciato e venne allora mandato a studiare in un collegio di Chivasso; ritornò a studiare a Torino nel 1898 dove nel marzo del 1900 suo padre morì di polmonite: nella ricorrenza della sua morte, l'anno dopo, Guido scrisse, dedicata alla madre, la sua prima poesia nota, Primavere romantiche, pubblicata postuma nel 1924. Le molte lettere all'amico e compagno di scuola Ettore Colla fanno comprendere i motivi delle difficoltà scolastiche di Gozzano, molto più interessato alle «monellerie». Cambiate ancora due scuole, nell'ottobre del 1903 conseguì finalmente la maturità al Collegio Nazionale di Savigliano; è lo stesso anno in cui, sulla rivista torinese «Il venerdì della Contessa», pubblicò i primi versi, inevitabilmente dannunziani fin dal titolo: La vergine declinante, L'esortazione, Vas voluptatis, La parabola dell'Autunno, Suprema quies e Laus Matris, oltre al racconto La passeggiata. Per quanto si fosse iscritto alla Facoltà di legge, a parte la sala da ballo del circolo studentesco «Gaudeamus igitur», Gozzano preferì frequentare i corsi di letteratura, tenuti allora da Arturo Graf - il quale teneva non solo regolari lezioni riservate agli studenti ma anche pubbliche conferenze tanto nelle aule universitarie, le cosiddette «sabatine», che nella sede della rivista «La donna» - e la Società della cultura, un circolo sito dapprima nella Galleria Nazionale di via Roma e poi, dal 1905, traslocato nell'attuale via Cesare Battisti, a fianco di Palazzo Carignano. Fondata nel 1898 da un gruppo di intellettuali, tra i quali si ricordano Luigi Einaudi, Guglielmo Ferrero, Gaetano Mosca, Giovanni Vailati e l'astronomo Francesco Porro de' Somenzi, la Società voleva essere una biblioteca circolante che fornisse le pubblicazioni letterarie più recenti, una sala di lettura di giornali e riviste e un luogo di conferenze e di conversazione, secondo una visione positivistica della circolazione della cultura, fatta d'intenti pedagogici e di scambi di esperienze professionali. Tra i frequentatori più anziani o già affermati nel panorama culturale di quegli anni, si notano il critico letterario e direttore della Galleria d'Arte Moderna Enrico Thovez, gli scrittori Massimo Bontempelli, Giovanni Cena, Francesco Pastonchi, Ernesto Ragazzoni, Carola Prosperi, il filologo Gustavo Balsamo Crivelli e i professori Zino Zini e Achille Loria; anche Pirandello vi farà qualche comparsa. Nell'immediato dopoguerra vi parteciperanno, con altro spirito e diverso intento, Piero Gobetti, Lionello Venturi e Felice Casorati. Gozzano vi diviene, secondo la definizione dell'amico giornalista Mario Bassi, il capo di una «matta brigata» di giovani - formata, tra gli altri, dai letterati Carlo Calcaterra, Salvator Gotta, Attilio Momigliano, Carlo Vallini, dal giornalista Mario Vugliano - che disturba la pace studiosa dei soci con il chiasso delle conversazioni a voce alta e l' impertinenza degl'improvvisati scherzi goliardici: un'immagine di Gozzano che, per altro, sembra contrastare con quella, comunemente rilasciata, di giovane riservato, dai tratti aristocratici, molto gentile, sorridente ma che «non rideva mai, rideva quasi con sforzo». Se la considerazione di Gozzano per quel circolo non è in sé positiva - «La Cultura! quando me ne parli, sento l'odore di certe fogne squartate per i restauri» - è tuttavia per lui occasione di conoscenze che torneranno utili tanto al suo orientamento culturale quanto alla promozione dei suoi versi. Così, dal professore di filosofia Zino Zini sollecita indicazioni e chiarimenti sulle figure di un Nietzsche e di uno Schopenhauer, così consone al suo decadentismo ribelle, nei quali ricercare «un vero che non fosse quello religioso». Tuttavia matura lentamente in lui, insieme con una più seria, per quanto disincantata, posizione di sé nelle relazioni mondane, una più attenta considerazione dei valori poetici della scrittura, favorito dalla conoscenza dei moderni poeti francesi e belgi, Francis Jammes, Maurice Maeterlinck, Jules Laforgue, Georges Rodenbach e Sully Prudhomme su tutti, oltre che dal Graf delle Rime della selva e dall'influsso del Pascoli. A turbare la soddisfazione del successo, è la diagnosi di una lesione polmonare, che lo spinge al primo di una lunga serie di viaggi nella vana speranza di ottenere, in climi più caldi e marini, una soluzione del male. In aprile va in Liguria, per pochi giorni a Ruta, poi in una località frequentata fino al 1912, San Francesco d'Albaro, alloggiando nell'Albergo San Giuliano o La Marinetta, dove frequenta il gruppo di giovani poeti che lì si danno convegno e collaborano alla rivista «La Rassegna Latina», nella quale Gozzano pubblica due recensioni dedicate a Mario Vugliano e ad Amalia Guglielminetti, con la quale, insieme a una relazione durata solo un paio d'anni, inizia una corrispondenza che si manterrà per tutta la vita. Qui scrive alcuni componimenti: Alle soglie, siglato 30 maggio 1907, che farà parte, modificato, della futura raccolta «I colloqui», Nell'Abazia di S, Giuliano, e Le golose, pubblicato il 28 luglio col titolo Le Signore che mangiano le paste nella «Gazzetta del Popolo della Domenica». Alla fine di giugno torna ad Agliè, poi passa l'agosto a Ceresole Reale e l'autunno ancora ad Agliè. A dicembre si ferma a Torino per stare con la Guglielminetti e poi, dal 23 dicembre, è nuovamente a San Francesco d'Albaro per passarvi l'inverno. Abbandonati gli studi giuridici nel 1909 si dedica completamente alla poesia e nel 1911 pubblica il suo più importante libro, I colloqui, i cui componimenti sono divisi, secondo un progetto ben preciso, in tre sezioni: Il giovenile errore, Alle soglie, Il reduce. Il successo avuto con "I colloqui" valse a Gozzano una grande richiesta di collaborazione giornalistica con importanti riviste e quotidiani, come La Stampa, La lettura, La Donna, sulle cui pagine pubblicò per tutto il 1911 sia prose che poesie. Nel 1912, aggravatosi il suo stato di salute, il poeta decise di compiere un lungo viaggio in India per cercare climi più adatti al suo stato di salute. La crociera, durata dal 6 febbraio 1912 fino al maggio seguente, compiuta in compagnia del suo amico Garrone non gli diede il beneficio sperato ma lo aiutò, comunque, a scrivere, con l'aiuto della fantasia e di molte letture, gli scritti in prosa dedicati al viaggio che saranno in seguito raccolti in volume e pubblicati postumi nel 1917 con il titolo Verso la cuna del mondo. Nel marzo 1914 pubblicò su "La Stampa" alcuni frammenti del poemetto le Farfalle, detto anche Epistole entomologiche, rimasto incompiuto. Nello stesso anno raccolse nel volume I tre talismani, sei deliziose fiabe che aveva scritto per il Corriere dei Piccoli. Si dimostrò sempre interessato al teatro e alla cinematografia lavorando alla riduzione di alcune novelle da lui scritte. Nel 1916, anno della sua morte, lavorò alla sceneggiatura di un film, che non vide mai la luce, su Francesco D'Assisi. Gozzano non assume pose da letterato e scrive le sue rime, segnate dalla tristezza e dal sentimento della morte, con ironico distacco. Alla base dei suoi versi vi è un romantico desiderio di felicità e di amore che si scontra presto con la quotidiana presenza della malattia, della delusione amorosa, della malinconia che lo porta a desiderare vite appartate e ombrose e tranquilli interni casalinghi. Tra i temi essenziali al mondo poetico di Gozzano vi è l'immagine della città natale, di quella sua amata Torino alla quale egli costantemente ritornava. Torino raccoglieva tutti i suoi ricordi più mesti ed era l'ambiente fisico ed umano al quale egli sentiva di partecipare in modo intimo con sentimento ed ironia. Accanto alla Torino contemporanea era assai più cara al poeta la Torino dei tempi antichi, quella Torino antica e un po' polverosa che suscitava nel poeta quegli accenti lirici carichi di nostalgia melanconica. Vicino alla Torino gozzaniana viene proposto dal poeta il vicino ambiente canavesano dove si ritrovano fondamentali immagini di contemplazione paesista e naturale dalla quale nascerà l'estremo mito lirico per il mondo della natura che poteva dargli, come egli dice "la sola verità buona a sapersi" e dalla quale nasceranno le ultime "persone" della sua poesia, "l'archenio del cardo, la selce, l'orbettino, il macaone" e infine tutte le farfalle del suo poema incompiuto e gli faranno ritrovare la sua "grande tenerezza per le cose che vivono", riscoprendo così il fanciullo che era "tenero e antico". Il tema della malattia, l'aggravarsi della tisi che condurrà il poeta alla morte, lascia molte impronte in tutti i versi del poeta e diventa occasione lirica come in Alle soglie, dove viene registrata in versi anche la prova della schermografia "Un fluido investe il torace, frugando il men peggio e il peggiore..."; "l'ossa e gli organi grami" vengono descritti "al modo che un lampo, nel fosco disegna il profilo d'un bosco, coi minimi intrichi dei rami". Quando tra il febbraio e l'aprile del 1912 Gozzano si recò in India tenne la cronaca del suo viaggio che espresse a volte in forma appassionata ed esterna, a volte in forma intima e sofferta. Nacquero le "Lettere dall'India", che, composte tra il 1912 e il 1913, apparvero su "La Stampa" torinese del 1914 e vennero in seguito pubblicate in volume presso i Fratelli Treves, con prefazione di Borgese nel 1917. Con queste immagini di terre lontane nasceva la più alta della prosa di Gozzano pur rimanendo il suo mondo poetico, anche di fronte alle immagini suggestive di orizzonti sconosciuti e non abituali, sempre all'interno dei propri determinati e sicuri confini. Gozzano, descrivendo la sua esperienza di viaggio, affronta anche il tema dell'"altro viaggio", quello della morte. Guido Gozzano alternava i soggiorni nella capitale a lunghi periodi nella villa avita, il Meleto. Immersa nel verde e circondata da un giardino romantico con un laghetto a due km da Agliè. Qui ammalato di mal sottile diede vita ad una soave produzione poetica dai toni dannunziani prima e dell'ironia borghese e realistica e della scapigliatura poi. L'eleganza e l'estetismo non caratterizzarono solo la sua opera letteraria: la sua coerenza all'ideale di vita che lo spingeva a fondere vita e poesia, lasciò che il suo personaggio apparisse dandy e raffinato. In onore del luogo soave e delicato, circondato dallo stile liberty il poeta soleva scrivere : Ed anche qui le statue e le siepi / ed il busso ribelle alle cesoie / (Natali dell'infanzia, o buone gioie / quando n'ornavo i colli dei presepi!) / Ma sull'erme, suoi cori, sopra il busso / simmetrico sui lauri / sugli spessi / carpini, sulle rose, sui cipressi / sulle vestigia dell'antico lusso / da cento anni un folto si compose / di pomi, di peri / ( .. ) / Son l'ombre di una gran pace tranquilla: / il sole, trasparente dall'intrico / segna la ghiaia del giardino antico / di monete, di lunule, d'armille. E dentro le stanze, il mondo racchiuso e silenzioso del Meleto, la sua camera, le vestigia di un epoca e di un sogno, le altre camere, la sala da pranzo, la biblioteca secondo la fantasia del liberty. Dipinto di Zorn

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