venerdì 25 gennaio 2008

L’amarezza di Romano

Giorgio De Chirico"Ma non torni Silvio"
Gelo con il Colle: prima di tutto va rispettata la Costituzione
FABIO MARTINI
ROMA Quell’appartamento a Palazzo Chigi «che sembra una prefettura» non gli è mai piaciuto. In quel letto antico e grande fatto acquistare a suo tempo da Silvio Berlusconi non si è mai ritrovato. Ma proprio in queste stanze così impersonali, nella lunga, incerta nottata tra mercoledì e giovedì e consigliandosi con «la» Flavia, Romano Prodi ha deciso di tagliare ogni ponte con chi gli consigliava prudenza: «Domani al Senato io ci vado, per una questione di coerenza e di dignità e farò un discorso molto chiaro. Per tutti». A cominciare dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano che in questi giorni non aveva fatto nulla per nascondere la sua irritazione per la procedura alla luce del sole scelta dal presidente del Consiglio. Ma in quella lunga notte e in questi giorni così travagliati Romano Prodi è tornato a confessare alla moglie Flavia, consigliera e confidente come nessun altro («Dopo tanti anni si entra in simbiosi e si somigliano persino le calligrafie...»), quella che è diventata l’ossessione del Professore: «Non posso pensare all’idea che possa tornare Berlusconi: bisogna fare di tutto per evitarlo. Di tutto».Un’ossessione che ha accompagnato Prodi ogniqualvolta, in questi venti mesi, è stato sfiorato dalla tentazione di gettare la spugna, un’ossessione che è tornata a riaffacciarsi in questi giorni. Soprattutto quando in molti - a cominciare da Massimo D’Alema - gli facevano notare che quella sua ostinazione a voler consumare la crisi in Parlamento, col doppio voto, avrebbe tremendamente complicato la gestione del dopo-Prodi. Certo, l’uomo è vendicativo e i demoni della rivalsa lo hanno sempre indotto nei passaggi più duri ad esprimersi con crudezza. Ma vuole cancellare quell’ immagine del «Prodi Sansone» che muore con tutti i suoi filistei che ha cominciato a circolare. E’ per questo motivo che il Professore, per ora nei «pour parler», ripete che «bisogna evitare di correre verso elezioni anticipate, perché questo Paese non lo merita». E proprio questa sarà la novità dei prossimi giorni: pur evitando di fare il tifo per il governo d’emergenza, Romano Prodi non si «metterà in mezzo» rispetto a un’ipotesi sulla quale si è tuffato Walter Veltroni. Il quale, come pare, ha un nome in testa per l’esecutivo-ponte: Gianni Letta. Ma a parte questa ipotesi (sicuramente la più ostica all’ambiente prodiano), il Professore non tornerà in campo per combattere quell’ipotesi. E se poi si arriverà comunque ad elezioni anticipate? Difficile sapere cosa pensi per davvero dentro di sé Prodi. Ma in questi mesi il Professore pensa di aver subito tali e tante di quelle ingiustizie che nelle prossime ore non mancherà di esternare la sua amarezza. Come ha dimostrato anche nel discorso di ieri pomeriggio col quale si è presentato ai senatori. All’ostilità, neppure tanto sorda, espressa dal Capo dello Stato per la «parlamentarizzazione della crisi», Prodi ha voluto rispondere rivendicando con orgoglio la sua scelta: «E’ vero che le istituzioni della politica sono tra le cause prime del distacco tra cittadini e classe politica», ma «è prima di tutto necessario rispettare e applicare la nostra Costituzione e rileggerla con lo spirito con cui i padri costituenti la scrissero: non vi troveremmo né la prassi delle crisi extraparlamentari, né l’asservimento dell’informazione pubblica al potere politico». Non è finita: «La nostra prassi costituzionale è rimasta quella della Prima Repubblica: vera sede del potere erano i partiti, i governi non erano scelti dai cittadini, la composizione dei governi era stabilita delle segreterie dei partiti». E dunque «tutte le istituzioni», dunque anche il Quirinale, «debbono impegnarsi a stabilire prassi costituzionali più corrispondenti alla volontà dei padri costituenti». Principii cari all’ideologo del prodismo, Arturo Parisi, ma soprattutto un messaggio molto duro rivolto a tutti coloro che non hanno condiviso la sua scelta: i leader del Pd, ma soprattutto il Capo dello Stato. Al quale Prodi - anche con un certo coraggio - ha addirittura consigliato come interpretare la Costituzione. Ma nell’ultimo giorno del suo governo Prodi una scena ha deciso di risparmiarsela: la gioia della destra per la sua sconfitta a Palazzo Madama. Non appena è iniziata la conta finale, Prodi non ha aspettato la comunicazione del voto. E’ tornato a Palazzo Chigi. Alle 19,35 il flash Radiocor: fiducia fallita. Poi, la salita al Quirinale, le dimissioni, le telefonate ai presidenti delle due Camere. Di nuovo a Palazzo Chigi. Qui, i venti mesi condotti dal Professore senza vellicare i poteri forti - interni ed internazionali - si sono fatti sentire: al telefonino di Prodi pochi segni di solidarietà. Fonte:
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200801articoli/29565girata.asp
CORAGGIO ROMANO IO TI HO SEMPRE STIMATO!

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