
LUCIA ANNUNZIATA
ROMAUniversità La Sapienza, Roma. La tecnica è quella di sempre. Due passano per il corridoio, incrociano lo sguardo e prendono la stessa direzione. Presto sono seguiti da altri due, poi da quattro. Quando escono dalla facoltà di Scienze Politiche, sono ormai di corsa e altri si uniscono. Sulle scale del Senato Accademico comincia l'ansia: «Presto, presto, c….». Porte sbattono, una si apre, «forza, forza», dentro gli impiegati aprono i loro uffici, «ma che volete?», «ce volete mette paura?». Il corridoio però è quello sbagliato. Vanno avanti, indietro. Fino a che la mano di un impiegato, pietoso o esasperato, gli apre la porta giusta per le scale, e verso la sala del senato accademico. OCCUPAZIONE! Occupazione è fatta. Il megafono è tirato fuori, la polizia arriva (nelle vesti del direttore del distretto di polizia, Marcello Cardona, conciliantissimo e tranquillo), poi le tv poi altri studenti. Comincia così, con una sorta di improvvisazione, la lunga giornata che porterà il Papa ad annullare la sua visita all'Università La Sapienza. Sono tanti questi studenti? Tanti no. L’occupazione e le attività sono in mano a un centinaio. Il panorama politico della Sapienza è piuttosto spoglio: operano ormai piccoli gruppi di cui due, la Rete per l'autoformazione e il Coordinamento Collettivi, hanno ramificazioni in tutta l'Università. Gli studenti che si identificano nelle sigle istituzionali (cioè dei vari partiti) sono piccole cellule. Forte è poi la presenza di Cl, ma la loro attività non è strettamente interna. I collettivi sono «autonomi» come si definiscono, ma non nel senso di anni fa quanto nel senso di non avere riferimenti politici: giusto per farci capire, sono gli stessi che hanno contestato due mesi fa Bertinotti in visita alla stessa Università. Saranno 500. I più attivi? Troppo pochi per rappresentare i 140 mila studenti che questa università frequentano; ma non così pochi da poter dire che non hanno alcuna influenza, perché molti di loro sono qui da anni, sono conosciuti, e affatto stupidi o sfaccendati. Il fatto è che l’occupazione cade nella giornata di ieri come un'ulteriore prova che la situazione alla Sapienza era estremamente volatile e, tutto sommato, in mano quasi a nessuno. Questo è stato forse il singolo più importante elemento che alla fine sembra aver contato nelle decisioni finali.Per capire il resto, se è possibile spezzare qualche lancia, anche ora che infuriano le polemiche, anche ora che è giusto ripetere che Ahmadinejad ha parlato alla Colombia U, e il Papa non alla Università di Roma, si potrebbe aggiungere che il clima ieri, nella Sapienza, non era incendiario. Crederci o meno, proprio mentre nello specchio della nostra polemica nazionale si consumava lo scontro fra Scienziati e Chierici, fra luce e buio, fra libertà di pensiero e censura, fra giacobini e sanfedisti - e date voi il ruolo a chi è chi delle due parti - sappiate che lì dentro c'era soprattutto molto sconcerto. Nella piccola stanza dove l'anziano professore Carlo Bernardini passa il suo prepensionamento, si raccolgono a giro alcuni dei 67 che hanno firmato la lettera di Marcello Cini che ha avviato la polemica. E la parola più ripetuta, nella stanza, era ieri, «preoccupazione». «Mi pare che qui siamo cascati in una bella trappola», è la frase con cui mi accoglie Michelangelo De Maria, prof ordinario di Fondamenti della Fisica, di Storia e Epistemologia della Fisica, nonché collaboratore Esa, agenzia europea dello spazio. «È indubbio che c'è di che essere preoccupati», concorda il prof. Bernardini che è il primo firmatario della lettera, e subito precisa di non aver mai amato quegli studenti dei decenni scorsi. Ricordano, i professori, che la lettera è stata firmata a novembre, che doveva essere parte di un confronto interno alla Università, e che nessuno avrebbe mai davvero immaginato che la cosa prendesse questa piega. Cattiva immaginazione, cattivo senso politico, il loro? Davvero potevano pensare che anche solo l'uso di un termine come «improvvido» riferito al Papa non si sarebbe trasformato in un affare nazionale? «La preoccupazione non vuol dire che lo scontro intorno all'arrivo di Papa Benedetto non ci sia», dice Bernardini. «Né che i “Fisici”, cioè i professori che si sentono e sono gli eredi di Enrico Fermi, si siano pentiti delle loro posizioni. È solo che, come spesso le vicende vere, anche questa nasce in un modo, cresce in un altro, e si sta trasformando per strada in un intreccio di tanti umori diversi, e tante casualità». E i professori cattolici di Fisica che non hanno firmato? «Sì, non hanno firmato ma senza polemiche» sottolinea il direttore del Dipartimento di Fisica, Giancarlo Ruocco, «la nostra è una facoltà con grande tradizione di tolleranza». Pochi dimenticano qui che sono vissuti insieme sempre i tanti cattolici e ebrei, brillanti matematici e fisici. Persino Giovanni Bachelet (figlio del professore Bachelet ucciso dalle Br) e cattolico, spiega il Direttore del DPT, non ha firmato per «sensibilità», «ma "ha detto che era d'accordo con la lettera"».Il fatto è che, qualunque sia l'appellativo che si vuole usare per questi professori, va almeno notato che da dentro le Mura della Sapienza il mondo appare in maniera un po' diversa. «Siamo noi gli sconfitti, siamo noi ad essere sotto attacco» dice De Maria. «Il Papa non è un uomo qualunque, e non solo per la sua carica, ma perché è un forte e raffinato intellettuale che sta attaccando il laicismo, e che viene qui a segnare questo passaggio politico». Quello che nessuno sembra capire, fra studenti e professori, è perché non si comprenda che le posizioni del Papa sui sacri principi della Scienza, portati in territorio universitario - magari scalcagnato, logorato, sporco com'è quello della Sapienza, ma pur sempre territorio di studi - suonano come una delegittimazione di valori e di una missione da loro sentita non meno sacra e devota di quella della Chiesa. «E saremmo noi i censori? E chi difende allora il nostro diritto di parola?» dice il prof. Carabini, citando quella che secondo lui è la più bella frase mai pronunciata sul dissidio scienza-religione, pronunciata durante il suo processo da Guillaume de Conches, della scuola di Chartres, nel XII secolo: «Io so che nella sua immensità Dio può mutare un vitello in un albero, ma il mio problema è capire perché non lo fa mai». Da dentro l'Università, insomma, più che violenza si odora amarezza per il mondo lì fuori, e non solo quello del Vaticano. «Avrà notato» dice il preside della facoltà di Scienze politiche Fulco Lanchester - fra quelli che sarebbero invece andati ad ascoltare il Papa, ma rifiutandosi di fare il bacio dell'anello - che qui i manifesti non sono solo contro il Papa, ma contro Veltroni e il ministro Mussi». C'è molto di più, conclude con la sua solita secca schiettezza: «Ancora una volta tutto è stato gestito fin dall'inizio con incompetenza, ma soprattutto, ancora una volta, la politica vede i problemi che le pongono i media, non quelli veri dell'Università». FONTE: http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200801articoli/29298girata.asp
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