martedì 12 febbraio 2008

Beatrice Cenci

Paolo Uccello/Portrait of a LadyBeatrice Cenci (Roma, 12 febbraio 1577Roma, 11 settembre 1599) è stata una nobildonna italiana, giustiziata per parricidio e poi assurta al ruolo di eroina popolare. Figlia del conte Francesco Cenci, uomo violento e dissoluto, e di Ersilia Santacroce, dopo la morte della madre, fu messa a sette anni, nel giugno del 1584, insieme con la sorella maggiore Antonina, presso le monache francescane del Monastero di Santa Croce a Montecitorio . Ritornata a quindici anni in famiglia vi trovò un ambiente quanto mai difficile e fu costretta a subire le angherie e le insidie del padre che, poco dopo, nel 1593, sposò, in seconde nozze, la vedova Lucrezia Petroni dalla quale non ebbe figli. Francesco, oberato dai debiti, incarcerato e processato per delitti anche infamanti, condannato due volte per "colpe nefandissime" al versamento di somme rilevanti, pur di non pagare la dote di Beatrice, volle impedirle di sposarsi, e decise nel 1595 di segregarla, insieme con la matrigna Lucrezia, a Petrella Salto, in un piccolo castello della Sabina, chiamato la Rocca, nel territorio del Regno di Napoli, di proprietà della famiglia Colonna. In quella forzata prigionia crebbe il risentimento di Beatrice verso il padre. La ragazza tentò anche, con la complicità dei domestici, di inviare lettere di aiuto ai familiari ed ai fratelli maggiori ma senza alcun risultato. Una delle lettere arrivò nelle mani del conte provocandone la dura reazione: Beatrice fu brutalmente percossa. Nel 1597 Francesco, malato di rogna e di gotta, anche per fuggire alle richieste pressanti dei creditori, portando con sé i figli minori Bernardo e Paolo, si ritirò a Petrella e le condizioni di vita delle due donne divennero ancora peggiori. Esasperata dalle violenze e dagli abusi paterni, Beatrice giunse alla decisione di organizzarne l'omicidio in concorso con la matrigna Lucrezia, i fratelli Giacomo e Bernardo, il castellano Olimpio Calvetti ed il maniscalco Marzio da Fioran detto il Catalano. Per due volte il tentativo fallì: la prima volta si cercò di sopprimerlo con il veleno, la seconda con una imboscata di briganti locali. La terza, stordito dall'oppio fornito da Giacomo e mescolato ad una bevanda, fu assalito nel sonno: Marzio gli spezzò le gambe con un matterello, Olimpio lo finì colpendolo al cranio ed alla gola con un chiodo ed un martello. Per nascondere il delitto i congiurati tentarono di simulare una morte accidentale per caduta: fu aperto un foro nelle assi marce di un ballatoio tentando di infilarci il cadavere. La cosa non riuscì: il foro era troppo piccolo. Decisero allora di gettarlo dalla balaustra. Il 9 settembre 1598 il corpo di Francesco fu trovato in un orto ai piedi della Rocca di Petrella. Dopo le esequie il conte fu sepolto in fretta nella locale chiesa di Santa Maria. I familiari, che non parteciparono alle cerimonie funebri, lasciarono il castello e tornarono a Roma nella dimora di famiglia, Palazzo Cenci, nei pressi del Ghetto. Inizialmente non furono svolte indagini ma voci e sospetti, alimentati dalla fama sinistra del conte e dagli odi che aveva suscitato nei suoi congiunti, indussero le autorità ad indagare sul reale svolgimento dei fatti. Dopo le prime due inchieste, la prima voluta dal feudatario di Petrella il duca Marzio Colonna, la seconda ordinata dal viceré del Regno di Napoli Don Enrico di Gusman, conte di Olivares, lo stesso pontefice Clemente VIII volle intervenire nella vicenda. La salma fu riesumata e le ferite furono attentamente esaminate da un medico e due chirurghi che esclusero che la causa potesse essere una caduta. Fu anche interrogata una lavandaia: Beatrice le aveva chiesto di lavare lenzuola intrise di sangue dicendole che le macchie erano dovute alle sue mestruazioni ma la giustificazione, dichiarò la donna, non le sembrò verosimile. Insospettì gli inquirenti, inoltre, l'assenza di sangue nel luogo ove il cadavere era stato rinvenuto. I congiurati vennero scoperti ed imprigionati. Calvetti, minacciato di tormenti, rivelò il complotto. Riuscito a fuggire fu poi fatto uccidere da un conoscente dei Cenci, monsignor Mario Guerra, per impedirne ulteriori testimonianze. Anche Marzio da Fioran, sottoposto a tortura, confessò ma, messo a confronto con Beatrice, ritrattò e morì poco dopo per le ferite subite. Giacomo e Bernardo confessarono anch'essi. Beatrice inizialmente negò ostinatamente ogni coinvolgimento indicando Olimpio come unico colpevole, ma la tortura della corda ne vinse ogni resistenza e finì per ammettere il delitto. Acquisite le prove, i due fratelli Bernardo e Giacomo furono rinchiusi nel carcere di Tor di Nona, Beatrice e Lucrezia in quello di Corte Savella. Il processo fu affidato al giudice Ulisse Moscato ed ebbe un grande seguito pubblico. Nel dibattito si affrontarono due tra i più grandi avvocati dell'epoca: l'alatrese Pompeo Molella per l'accusa e Prospero Farinacci per la difesa. Farinacci, nel tentativo di alleggerire la posizione della giovane, accusò Francesco di aver stuprato la figlia. Ma Beatrice nella sue deposizioni non volle mai confermare l'affermazione del difensore. Alla fine prevalse Molella e gli imputati superstiti vennero tutti giudicati colpevoli e condannati a morte. Cardinali e difensori inoltrarono richieste di clemenza al pontefice, ma Clemente VIII, preoccupato per i numerosi e ripetuti episodi di violenza verificatesi nel territorio dello stato, volle dare un severo ammonimento e le respinse: Beatrice e Lucrezia, furono condannate alla decapitazione, Giacomo allo squartamento. Solo per Bernardo acconsentì alla commutazione della pena. Bernardo, il fratello minore di soli diciotto anni, pur non avendo partecipato attivamente all'omicidio, era stato anch'esso condannato per non aver denunciato il complotto, ma, per la sua giovane età, ebbe risparmiata la vita: gli fu imposta la pena dei remi perpetui, cioè remare per tutta la vita sulle galere pontifice con l'obbligo di assistere all'esecuzione dei congiunti. Inoltre, la notizia della commutazione della pena gli fu deliberatamente nascosta e comunicata solo poche ore prima della scampata esecuzione. Solo alcuni anni più tardi, dopo il pagamento di una grossa somma di denaro, riottenne la libertà. L'esecuzione di Beatrice, della matrigna e del fratello maggiore avvenne la mattina dell'11 settembre 1599 nella piazza di Castel Sant'Angelo gremita di folla. Tra i presenti anche Caravaggio insieme con i pittori Orazio ed Artemisia Gentileschi. La giornata molto afosa e la calca provocarono la morte di alcuni spettatori; qualcun altro cadde ed annegò nel Tevere. La decapitazione delle due donne fu eseguita con la spada. La prima ad essere uccisa fu Lucrezia, seguì poi Beatrice ed infine Giacomo: seviziato durante il tragitto con tenaglie roventi, mazzolato e poi squartato. Il corpo della giovane, come lei stessa aveva richiesto prima di morire, fu sepolto in un loculo davanti l'altare maggiore di San Pietro in Montorio, sotto una lapide priva di nome, secondo la norma prevista per i giustiziati. Nella notte dell'anniversario dell'esecuzione è invalsa la credenza di vedere la figura di Beatrice, che tiene in mano la testa recisa, aleggiare sul luogo in cui fu decapitata. Dopo l'esecuzione, le proprietà della famiglia Cenci furono confiscate dalla Camera Apostolica e vendute all'asta per 91.000 scudi, cifra che parve inferiore al loro valore reale. La maggior parte dei beni, tra i quali la grande tenuta di Torrenova, settemila ettari ed un castello nell'Agro Romano, fu acquistata dal nipote del papa Gian Francesco Aldobrandini. Il procedimento innestò una lunga serie di cause legali promosse dai superstiti della famiglia con parziali restituzione di beni. La confisca, inoltre, rese vane le disposizioni testamentarie di Beatrice che aveva deciso consistenti lasciti in favore di varie istituzioni religiose. Nel 1798, durante la Prima Repubblica Romana, i soldati francesi, che avevano occupato la città al comando del generale Berthier, si abbandonarono a razzie e requisizioni: anche le tombe furono violate per impossessarsi del piombo delle casse. Secondo la testimonianza del pittore Vincenzo Camuccini, che assistette all'episodio mentre lavorava al restauro della Trasfigurazione di Raffaello, alcuni soldati, guidati da uno scultore loro connazionale, entrati nella chiesa di San Pietro in Montorio, iniziarono a spaccare le lastre dei sepolcri poste sul pavimento. Uno di loro aprì la cassa di Beatrice e s'impossessò del vassoio d'argento sul quale era stata deposta la testa della giovane. Lo scultore, preso il teschio, incurante delle proteste di Camuccini, si allontanò lanciandolo in aria per gioco. Le vicende della famiglia Cenci, e di Beatrice in particolare, non potevano non suscitare interesse, sentimenti di partecipazione sincera e commozione, ma anche curiosità morbosa, sia tra gli strati popolari sia tra gli artisti. Gli ingredienti c'erano tutti: la bellezza e giovinezza di Beatrice, il cupo ambiente familiare, le passioni torbide del padre, l'incesto, la vendetta dei fratelli, l'espiazione ed il supplizio finale. Per tali motivi, gli artisti delle arti figurative come di quelle letterarie, particolarmente in epoca romantica, trovarono numerosi elementi di ispirazione per le loro opere. Un presunto ritratto di Beatrice, attribuito a Guido Reni o ai suoi allievi, forse Elisabetta Sirani, é conservato nella Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini, in Roma. Tra quelle letterarie possiamo citare: The Cenci, tragedia di Percy Bysshe Shelley, scritta e conclusa a Roma nel maggio 1819 Les Cenci, racconto di Stendhal, inserito nelle Chroniques Italiennes, 1829 Beatrix Cenci, tragedia di Astolphe de Custine, 1833 Beatrice Cenci, racconto di Francesco Domenico Guerrazzi, 1854. Les crimes celebres: Les Borgia; La marquise de Ganges; Les Cenci, serie di racconti di Alexandre Dumas (padre), 1856 Nemesis, tragedia di Alfred Nobel, 1896 "Beatrice Cenci", Corrado Ricci, 1923, 2 volumi Les Cenci, tragedia di Antonin Artaud, 1935 Beatrice Cenci, tragedia di Alberto Moravia, pubblicata su "Botteghe Oscure" nel 1955 A tale for midnight, novella di Fredrich Prokosch, 1955 Tra le opere musicali ricordiamo: Beatrice Cenci, opera in tre atti del compositore triestino Giuseppe Rota su libretto di Davide Rabbeno. Prima esecuzione il 14 febbraio 1863 al Teatro Regio di Parma. The Cenci, dramma musicale in otto scene del compositore inglese Havergal Brian del 1951-52, derivato dalla tragedia di Shelley Beatrix Cenci, opera in due atti del compositore argentino Alberto Ginastera, su libretto di William Shand ed Alberto Girri. Prima esecuzione il 10 settembre 1971 al Kennedy Center di Washington. Beatrice Cenci, opera in tre atti del compositore tedesco Berthold Goldschmidt, su libretto di Martin Esslin. Prima esecuzione il 30 agosto 1994 al Philharmonie di Berlino. Beatrice Chancy, opera da camera in due atti del 1999, composta dal musicista canadese James Rolfe, su libretto di George Elliot Clarke. La vicenda, ispirata alla tragedia di Shelley, è ambientata nella Nuova Scozia del XIX secolo, negli ultimi giorni della schiavitù. Beatrice Cenci, dramma originale in musica in due atti di Alessandro Londei e Brunella Caronti. Prima esecuzione a Roma in occasione dell'Estate romana 2006. Nel Novecento é l'arte cinematografica, arte popolare per eccellenza, ad interessarsi della figura di Beatrice con numerose trasposizioni cinematografiche: Beatrice Cenci, di Mario Caserini (1909) Beatrice Cenci, di Ugo Falena (1910) Beatrice Cenci, di Baldassarre Negroni (1913) Beatrice Cenci, di Baldassarre Negroni (1926) Beatrice Cenci, di Guido Brignone (1941) Beatrice Cenci, di Riccardo Freda (1956) Beatrice Cenci, di Lucio Fulci (1969) Ogni anno, nell'anniversario della morte di Beatrice, per volontà del principe Bolognetti, discendente della famiglia Cenci, viene celebrata una messa nella chiesa di Gesù e Maria in via del Corso a Roma. Nel comune di Cappadocia, provincia dell'Aquila, presso la frazione di Petrella Liri, si trovano le Grotte di Beatrice Cenci, formate dalle acque del fiume Imele. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Beatrice_Cenci

1 commento:

Anonimo ha detto...

Brava! Pasqui