
sabato 9 febbraio 2008
Lambertow e gli altri, Silvio perdona tutti
Leemput
Andata e ritorno: Gli alleati del Cavaliere tra insulti e marce indietro Due mesi fa Fini diceva del partito unico: altro che teatrino, siamo alle comiche finali «Vabbe' che l'Italia è il Paese del trasformismo ma tutto ha un limite», sbottò Berlusconi all'idea che Dini voltasse gabbana. Gli amici di destra, però, si rilassino: la frase non è di ieri.E il Cavaliere non ce l'aveva, ovvio, con il «Lambertow» che ieri è accorso nel nuovo Pdl passando dopo 12 anni da sinistra a destra, ma con il «Lambertow» che passò da destra a sinistra.Si sa: chi se ne va è un ributtante opportunista, chi arriva un amato figliol prodigo. È la politica, baby. Certo, a sinistra c'è chi dirà che solo una manciata di settimane fa l'ex ministro degli esteri di Prodi, D'Alema e Amato aveva fondato il suo movimento liberaldemocratico spiegando che si collocava «naturalmente nel centrosinistra ». E chi ricorderà come lo stesso Cavaliere avesse a suo tempo marchiato Dini come «il maggiordomo di Scalfaro» che mascherava «il governo dei comunisti», Francesco D'Onofrio come «un ermafrodito» sulla via di diventare «transessuale», Umberto Bossi come un burattino in mano alle sinistre e Gianfranco Fini come «il ventriloquo di D'Alema». Ma perché rinvangare? Bentornato, Lambertow! La sinistra, del resto, sospettava che sarebbe finita così dai tempi in cui Cuore, per dare il benvenuto all'ex ministro del Tesoro berlusconiano, aveva intonato: «Compagni, dai cambi e dalle officine...». La nascita anche a destra di una nuova forza politica per semplificare come il Pd a sinistra un panorama da incubo, con 157 partiti registrati (o 158 con quello di Bruno Tabacci: ma ormai anche gli appassionati hanno perso il conto) ha questo di buono: costringe i cacicchi a decidere. Dentro o fuori. A costo di mettere da parte certe contrapposizioni, certe forzature, certi insulti che mai come ora appaiono curiosi. Prendete Alessandra Mussolini. Accusò Berlusconi di averla «accoltellata nella schiena» e piantò in asso Fini fondando un partitino suo («Ha osato definire il fascismo, cioè mio nonno, male assoluto! ») irridendo agli ex camerati «neo-democristiani che scodinzolano davanti alla porta del Ppe per un lasciapassare nel salotto buono».Ieri, contrordine camerati: «Va reso merito a Berlusconi e Fini dello sforzo per tentare di dare corpo e sostanza a qualcosa che sembrava un sogno irrealizzabile, ora vicino a diventare realtà». E gli scodinzolanti del Ppe? Boh... Il Cavaliere sorride. L'ha sempre detto, lui, che vorrebbe andare d'accordo con tutti: «Per non litigare mi posso fare concavo o convesso ». E pur avendo denunciato mille volte il ribrezzo per un certo teatrino della politica («Torno a Roma, torno nella cloaca »), ha imparato da un pezzo come gira. Ai tempi in cui il leader della Lega lo chiamava «Berluscaz», Fini confidò: «Silvio odia Umberto con tutto il cuore, io non so odiare quanto odia lui». Deciso a vincere, però, si fece davvero concavo e convesso: «Per tornare con Bossi abbiamo dovuto gettarci dietro le spalle tante frasi spiacevoli. Solo io con lui avevo 18 cause giudiziarie ». E se era riuscito allora a gettarsi alle spalle insulti come «suino Napoleon» o «cornuto delinquente», poteva avere puzze sotto il naso con l'amico Gianfranco? È vero, dovranno ammettere entrambi che il passaggio dalla rissa all'abbraccio è stato svelto. Solo due mesi fa, come ricordava giorni fa Francesco Storace (seguito ieri da Teodoro Buontempo, che ha messo in guardia il Cavaliere dal fidarsi «dei cavalli di Troia che aspettano solo di indebolire la coalizione ») la decisione di Sua Emittenza di salire sul predellino della macchina per tenere il «proclama di San Babila» annunciando la nascita del nuovo partito, era stata accolta dal leader di An con irritazione: «Comportarsi nel modo in cui sta facendo Berlusconi non ha niente a che fare con il teatrino della politica: significa essere alle comiche finali. Da queste mie parole, volutamente molto nette, voglio che sia a tutti chiaro che, almeno per quello che riguarda il presidente di An, non esiste alcuna possibilità che An si sciolga e confluisca nel nuovo partito di Berlusconi». E giorno dopo giorno la collera era sembrata montare, fino a fargli dire: «Io sono il presidente di Alleanza nazionale, non una pecora». Traduzione: non entro nel gregge di nessuno. Va da sé che, plaudito alla pace rapidamente fatta dopo la caduta di Prodi, anche i tifosi dell'idea di una lista comune si sarebbero aspettati che l'annuncio di un accordo venisse dato questa volta insieme. Tutti e due. Alla pari, o quasi. Macché. Il Cavaliere non solo è salito su un secondo predellino, quello della trasmissione Panorama del giorno condotta da Maurizio Belpietro su Canale 5, ma ha dato lui la notizia anche del consenso dell'amico Gianfranco. Al quale non ha lasciato che il compito di assentire: «Condivido la proposta di Berlusconi di dare al popolo del 2 dicembre, al popolo delle libertà un'unica voce in Parlamento... ». E chi lo guiderà, questo popolo? Un consolato con due consules? Un presidente e un segretario? Un condottiero unico a staffetta? E Fini, dopo essere stato per venti anni il numero uno della destra, che peso avrà dentro questo contenitore più grande? Si vedrà... Il rapporto tra i due, in realtà, è sempre stato piuttosto complesso.Fin da quando Berlusconi, dopo avere sdoganato l'allora segretario missino appoggiandolo prima nella corsa per il Comune di Roma e poi nella fondazione di An, rivendicò l'alleato come una creatura sua: «Si è candeggiato: prima di me era il cavaliere nero sul cavallo nero adesso è il cavaliere bianco sul cavallo bianco». Un'idea fissa. Ribadita con la sua battuta più famosa: «Sono stato come la fata Smemorina di Cenerentola: erano delle zucche e li ho trasformati in principi». E confermata mille volte con gli ammiccamenti sull'erede, l'eredità, il delfino, il successore... Mettetevi al posto di Fini: è dura, a cinquantasei anni, fare ancora la parte del principino che aspetta che il Re un giorno, quando ne avrà voglia, gli posi la corona in testa. E così l'ha detta, fuori dai denti: «Successore designato per via monarchica da Berlusconi? La monarchia è un'istituzione rispettabilissima ma io sono repubblicano dalla nascita». Ma la politica è la politica. E Gianfranco ha già detto come la pensa: «La politica presuppone che i sentimenti personali non siano al centro dell'azione dei partiti. Sono sfere diverse». Avanti col nuovo partito, dunque. E la successione? All'ennesima domanda sul tema, un giorno rispose canticchiando Lucio Battisti: «Berlusconi non è una stella / che al mattino se ne va...». Gian Antonio Stella 09 febbraio 2008 Fonte: http://www.corriere.it/politica/08_febbraio_09/stella_932bb9ea-d6e2-11dc-b781-0003ba99c667.shtml

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