Antonello da Messina
Santa Giuseppina Bakhita (Oglassa, 1869 – Schio, 8 febbraio 1947) è stata una santa, religiosa canossiana sudanese naturalizzata italiana. Nacque intorno al 1869 in un piccolo villaggio del Sudan occidentale. All'età di quattro - sei anni, fu rapita da mercanti arabi di schiavi. Per il trauma subito, dimenticò il proprio nome e quello dei propri familiari: i suoi rapitori la chiamarono Bakhita, che in arabo significa "fortunata". Venduta più volte dai mercanti di schiavi sui mercati di El Obeid e di Khartoum, conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù. In particolare, subì un tatuaggio cruento mentre era a servizio di un generale turco: le furono disegnati più di un centinaio di segni sul petto, sul ventre e sul braccio destro, incisi poi con un rasoio e successivamente coperti di sale per creare delle cicatrici permanenti. Nella capitale sudanese venne infine comprata dal console italiano residente in quella città, Callisto Legnani, con il proposito di renderle la libertà: questo diplomatico già in precedenza aveva comprato bambini schiavi per restituirli alle loro famiglie. Nel caso di Bakhita ciò non fu possibile per la distanza del villaggio di origine dalla capitale e per il vuoto di memoria della bambina riguardo ai nomi del proprio villaggio e dei propri familiari. Nella casa del console Bakhita visse serenamente per due anni lavorando con gli altri domestici senza essere più considerata una schiava. Quando nel 1884 il diplomatico italiano dovette fuggire dalla capitale in seguito alla Rivolta Mahadista, Bakhita lo implorò di non abbandonarla. Insieme ad un amico del signor Legnani, Augusto Michieli, raggiunsero prima il porto di Suakin sul Mar Rosso, dove appresero della caduta di Khartoum, e dopo un mese si imbarcarono alla volta di Genova. In Italia Augusto Michieli con la moglie presero con loro Bakhita come bambinaia della figlia e la portarono nella loro casa a Zianigo (frazione di Mirano). Dopo tre anni i coniugi De Michieli si traferirono in Africa a Suakin dove possedevano un albergo e lasciarono temporaneamente la figlia e Bakhita in affidamento presso l'Istituto dei Catecumeni in Venezia gestito dalle Figlie della Carità (Canossiane). Bakhita venne ospitata gratuitamente come catecumena e cominciò a ricevere così una istruzione religiosa. Quando la signora Michieli ritornò dall'Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest'ultima, con molto coraggio e decisione, manifestò la sua intenzione di rimanere in Italia con le suore Canossiane. La signora Michieli fece intervenire il Procuratore del Re, venne coivolto anche il cardinale patriarca di Venezia Domenico Agostini, i quali insieme fecero presente alla signora che in Italia non erano riconosciute le leggi di schiavitù: il 29 novembre 1889 Bakhita fu dichiarata legalmente libera. Nel convento delle Canossiane dove rimase, il 9 gennaio 1890 Bakhita ricevette i sacramenti dell'iniziazione cristiana e con i nomi Giuseppina Margherita Fortunata. Il 7 dicembre 1893 entrò nel noviziato dello stesso istituto e l'8 dicembre 1896 pronunciò i primi voti religiosi. Nel 1902 fu trasferita in un convento dell'ordine a Schio dove trascorse il resto della propria vita. Qui lavorò come cuciniera, sagrestana, aiuto infermiera nel corso della Prima Guerra Mondiale quando parte del convento venne adibito ad ospedale militare. A partire dal 1922 le venne assegnato l'incarico di portinaia, servizio che la metteva in contatto con la popolazione locale che prese ad amare questa insolita suora di colore per i suoi modi gentili, la voce calma, il volto sempre sorridente: venne così ribattezzata dagli scledensi (cioè dagli abitanti di Schio) "Madre Moreta". Il suo personale carisma e la sua fama di santità vennero notati dai suoi superiori, che a più riprese le chiesero di dettare le sue memorie. Il primo racconto venne dettato a suor Teresa Fabris nel 1910, che produsse un manoscritto di 31 pagine in Italiano (si noti che Bakhita parlava esclusivamente in dialetto veneto). Nel 1929, su invito della famiglia dell'amministratore dei coniugi Michieli, Illuminato Chicchini, persona a cui lei era particolarmente legata e riconoscente, si racconta ad un'altra consorella, suor Mariannina Turco; questo secondo manoscritto è andato perduto, probabilmente distrutto dalla stessa Bakhita. Su richiesta della superiora generale dell'ordine, tra il 4 e il 6 novembre 1930 venne intervistata a Venezia da Ida Zanolini, laica canossiana e maestra elementare, la quale nel 1931 pubblicò il libro Storia Meravigliosa che venne ristampato 4 volte nel giro di sei anni. Bakhita divenne così famosa in tutta Italia e molte persone, comitive e scolaresche andavano a Schio per vederla. Dal 1933, assieme ad una suora missionaria di ritorno dalla Cina, suor Leopolda Benetti, iniziò a girare l'Italia per tenere conferenze di propaganda missionaria. Timida di natura e capace di parlare solo in dialetto veneto, Bakhita si limitava a dire poche parole alla fine degli incontri, ma la sua presenza attirava l'interesse e la curiosità di migliaia di persone. L'11 dicembre 1936, Bakhita con un gruppo di missionarie in partenza per Addis Abeba, vennero ricevute da Benito Mussolini nel Palazzo Venezia a Roma. Dal 1939 cominciò ad averi seri problemi di salute e non si allontanò più da Schio. Morì l'8 febbraio 1947 dopo una lunga e dolorosa malattia. La salma venne inizialmente sepolta nella tomba di una famiglia scledense, i Gasparella, probabilmente in vista di una successiva traslazione nel Tempio della Sacra Famiglia del convento delle canossiane di Schio, traslazione poi avvenuta nel 1969. Bakhita si esprimeva in dialetto veneto e alcune sue frasi ed espressioni sono diventate famose. Parlava di Dio come "el Paròn": "quelo che voe el Paròn", "quanto bon che xe el Paròn", "come se fa a non volerghe ben al Paròn" ("quello che vuole il Padrone", "quanto buono è il Padrone", "come si fa a non voler bene al Padrone"). Di se stessa: "Mi son un povero gnoco, come gai fato a tegnerme in convento?" ("Sono un povero gnocco, come hanno fatto a tenermi in convento?"). Quando la gente la compiangeva per la sua storia: "Poareta mi? Mi non son poareta perché son del Paròn e nela so casa: quei che non xe del Paròn i xe poareti" ("Povera io? Io non sono povera perché sono del Padrone e nella sua casa: quelli che non sono del Padrone sono i veri poveri"). Soffrì parecchio nel subire la curiosità della gente e l'acquisita notorietà: "Tuti i voe vedarme: son proprio na bestia rara!" ("Tutti vogliono vedermi: sono proprio una bestia rara!"). Il processo di canonizzazione iniziò nel 1959, a soli 12 anni dalla morte. Il 1º dicembre 1978 Papa Giovanni Paolo II firmò il decreto dell'eroicità delle virtù della serva di Dio Giuseppina Bakhita. Durante lo stesso pontificato, Giuseppina Bakhita fu beatificata il 17 maggio 1992 e canonizzata il 1º ottobre 2000. La festa liturgica si celebra il giorno 8 febbraio. « Mediante la conoscenza della speranza lei era "redenta", non si sentiva più schiava ma libera figlia di Dio. » (Papa Benedetto XVI. Lettera enciclica Spe salvi. La fede è speranza, punto 3, pag. 8. 30 novembre 2007.) Santa Giuseppina Bakhita viene ricordata da Papa Benedetto XVI nell'enciclica Spe salvi nel terzo punto a pagina 6. Il Pontefice racconta nell'importante documento la sua vita ricordandola come esempio di speranza cristiana. Il documento papale presenta alcune imprecisioni riguardo alla vita della santa: " ... venduta cinque volte sui mercati del Sudan..." : tutti i testi riportano 4 vendite; "... Da ultimo, come schiava si ritrovò al servizio della madre e della moglie di un generale e lì ogni giorno veniva fustigata fino al sangue...": il racconto di Bakhita dettato a suor Teresa Fabris, non dice che veniva frustata ogni giorno, ma che "...Le frustate ci piombavano addosso senza misericordia; di modo che in tre anni che stetti al loro servizio, non ricordo di aver passato un solo giorno senza piaghe; perchè non ancora guarita dai colpi ricevuti, altri me ne piombavano addosso senza sapere perchè"; "... in conseguenza di ciò (ndr delle frustate) le rimasero per tutta la vita 144 cicatrici": la maggior parte delle sue cicatrici non furono dovute alle frustate, ma al tatuaggio che subì per marcarne la proprietà; "...nel 1882 fu comprata da un mercante italiano per il console italiano Callisto Legnani...": nel racconto di Bakhita, Callisto Legnani la comprò direttamente dal generale; circa tre anni dopo, all'arrivo in Italia, questi la diede al suo amico Augusto Michieli che faceva il mercante in Africa. La data e il luogo di nascita indicati sopra non sono certi, anche se sono riportati nei documenti ufficiali. Tra il settembre 1886 e il giugno 1887 Bakhita seguì la signora Michieli e la figlia a Suakin: quella fu l'ultima volta che Bakhita vide l'Africa. Tra il 1937 e il 1939 Bakhita visse nel noviziato missionario di Vimercate come portinaia. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Santa_Giuseppina_Bakhita

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