mercoledì 4 giugno 2008

Hillary, super donna piccolo sogno

SpencerPer Barack una mela avvelenata
In serata bagno di folla per la Cinton a New York tra le grida: "No-Bama, No-Bama"
dal nostro inviato VITTORIO ZUCCONI WASHINGTON - Il segnale di resa di Hillary all'ormai certo candidato democratico alla Casa Bianca che nella notte aveva raggiunto la maggioranza assoluta dei delegati secondo i calcoli delle agenzie giornalistiche americane, è una mela avvelenata. E' la proposta di lavorare per lui e appoggiare la campagna elettorale soltanto se lei sarà scelta come vicepresidente. Un'offerta che, mentre confermava la sconfitta della signora nello straziante testa testa fra democratici, costruisce un trappolone politico mortale dal quale per Obama sarà difficilissimo uscire. Se lui respinge questa sorta di proposta di matrimonio, si alienerà quella metà del partito, e le molte donne, che hanno votato per lei e "l'inferno non conosce collera come quella di una donna scornata", ricordava già Shakespeare. Se l'accetta, si porterà in casa, per quattro anni, una signora che si considera e che si comporterà come la vera padrona. E che si porta dietro il bagaglio ingombrante di un ex presidente, il marito. Il veleno (e la verità) erano dunque nella coda di questo lungo duello e la maniera astuta con la quale Hillariy si è offerta ("se me lo chiedesse, non rifiuterei" ha detto a un gruppo di deputati democratici di New York) risolve il mistero della sua testarda e in apparenza assurda resistenza, continuata anche quando era apparso chiaro che non avrebbe mai potuto sorpassare l'avversario nelle elezioni primarie. Essa dice quello che la signora ha sempre sostenuto, che senza di lei, il partito democratico non potrà vincere, perché sarà lei a impedirlo e fare in modo che i 17 milioni di elettori che l'hanno votata, non vadano in novembre a votare per Barack Obama. E così nel giorno del trionfo finale del senatore afroamericano, nella apoteosi della ancora incredibile storia di un uomo di colore, del figlio di un immigrato kenyano che arriva alle soglie dell'ufficio più formidabile del mondo, è lei a rubare la scena e a far parlare di sé, nel giorno in cui le sue chances erano finalmente svanite. Per preparare il colpo di coda, Hillary si era travestita per un giorno da casalinga, nelle vesti di donna di casa, a servire quei tè e pasticcini che lei aveva giurato, entrando alla Casa Bianca con il marito nel 1989, di non abbassarsi mai a versare e sfornare. La superwoman, la superdonna che non voleva sembrare donna e ha scoperto troppo tardi che questa sarebbe stata la sua arma vincente, aveva speso l'ultimo giorno della propria lotta, da moglie, accanto all'uomo al quale deve tutto il meglio e il peggio della propria vita, con Bill dal pelo ormai candido, nella bellissima casa di Chappaqua a Nord di Manhattan. Quella che comperarono insieme, ma dove non vivono mai insieme. Tornati, nell'amore bruciante per il potere che li consuma, per un'ultima volta i Billary, la coppia saldata per sempre da passioni molto più forti del banale amore, curva sulle mosse da fare per restare aggrappati al potere. Che la sua corsa fosse finita era ormai divenuto ovvio, ma non ancora formale, perché la signora aveva ancora in serbo la mela avvelenata. Come nelle sequenza finali di una resa, nei centri di comando e nel quartier generali di Hillary for President, agli impiegati e ai volontari che hanno passato mesi aggrappati ai telefoni e incollati ai monitori di computer, ieri era arrivato l'ordine di raccogliere i loro effetti e di preparare la lista delle spese. Per tutto il giorno, mentre gli ultimi bovari e Sioux e ranchers del West votavano nel territorio del Dakota e del Montana, sbalorditi da tanta attenzione nazionale, si era giocato il ping pong delle sue smentite e delle confessione collaboratori rassegnati che ammettevano la fine. Ma lei preparava, nel momento della propria morte elettorale, il meccanismo della resurrezione. L'ultimo combattente al fronte, in Sud Dakota, era stata proprio lei, con la figlia Chelsea accanto, l'altra grande sopravvissuta al trauma del papà sporcaccione, tempra di ferro clintoniana anche lei. Ma le poche telecamere rimaste a seguirla l'avevano ripresa mentre un attacco di raucedine e poi un accesso di tosse incontrollabile l'avevano costretta a bisbigliare all'orecchio della figlia "parla tu, io non ce la faccio". Stanca fradicia. Un comico da seconda serata aveva mostrato il video di Hillary che comperava un paio di occhiali da lettura da un farmacista, quelli da presbiopia dell'anziano, e aveva riso: "Appena inforcati gli occhiali, Hillary ha letto un giornale e ha esclamato, o cavolo, ma allora ho perso". Erano volati a New York, per essere con lei e il marito nel suo ultimo discorso da candidata in corsa, i grandi benefattori, i finanziatori che avevano puntellato una campagna elettorale che Obama ha vinto, prima che nel conto dei delegati, nei forzieri alimentati da almeno 500 mila contribuenti individuali volontari, con offerte di 50 o 100 dollari. "Andiamo alla veglia - aveva detto Hassan Nemazee, il miliardario iraniano che è stato il cassiere (e l'elemosiniere capo) della Clinton, uno di quei personaggi da penombra dei quali il candido vecchio ha sempre amato circondarsi - ormai è finita". Deputati democratici, senatori, governatori, pezzi da 90 locali che non avevano osato dichiararsi per il senatore afroamericano sperando fino all'ultimo che il loro voto non fosse decisivo, perché sanno che i Clinton hanno la memoria implacabile. Persino l'intoccabile ex presidente Jimmy Carter aveva atteso fino a ieri notte, prima di concedere il proprio endorsement, la propria benedizione, a Barack Obama. Soltanto a tarda sera viaggiando veloce contro il traffico dei pendolari che escono da New York per rifugiarsi nei loro eleganti dormitori di sobborgo, la veglia è finita, i pasticcini sono stati gettati, il tè si raffreddato e la donna che non voleva morire è rientrata a Manhattan, per far sapere ai suoi sostenitori l'offerta di arrendersi in cambio del ritorno alla Casa Bianca, in un ultimo bagno in quella folla che intonava cori rabbiosi di "No-Bama, No-Bama". Dunque Hillary Rodham Clinton ha vinto nel giorno in cui ha perso. Ha fatto capire che se lei non potrà essere regina, neppure lui potrà diventare re senza di lei. (4 giugno 2008) da http://www.repubblica.it/2008/01/speciale/altri/2008primarie/hillary-resa-avvelenata/hillary-resa-avvelenata.html

Nessun commento: