venerdì 19 dicembre 2008

Chi è senza peccato....

HawkinsLa soluzione sbagliata
di GIAN ANTONIO STELLA
«No San Vitur? Ahi ahi ahi ahi!» Pare passato un secolo da quando Cuore faceva il verso a uno spot televisivo sbeffeggiando chi non era ancora finito a San Vittore e pubblicava il «bollettino dei latitanti » e sparava titoli come «Scatta l’ora legale / Panico tra i socialisti». Da quando Massimo D’Alema liquidava le parole di Bettino Craxi su Mario Chiesa dicendo che dare del «mariuolo » a qualcuno era «un modo troppo semplice di cavarsela». Da quando la notizia di un avviso di garanzia all’ex premier Giovanni Goria fu accolta dall’assemblea diessina con un applauso.
Mal comune mezzo gaudio? Non hanno senso, a destra, certi commenti del tipo «chi di tangenti ferisce, di tangenti perisce». Sono forse comprensibili, da parte di coloro che per anni sono stati additati come i monopolisti della mala- politica. Ma non hanno senso. Così come appare insensato quel sollievo a sinistra nel sottolineare che nelle retate e negli scandali di questi giorni, tra tanti esponenti del Pd, è rimasto invischiato anche qualche protagonista della destra, quale ad esempio Italo Bocchino.
Il guaio è che il nodo della corruzione in Italia, al di là delle sorti giudiziarie degli indagati, cui auguriamo di dimostrare un’innocenza cristallina, è rimasto irrisolto dai tempi in cui Silvio Berlusconi racconta che «a Milano non si poteva costruire niente se non ti presentavi con l’assegno in bocca». Lo dicono decine di processi in tutto il Paese. Lo confermano gli studi di Grazia Mannozzi e Piercamillo Davigo che esaminando 20 anni di casellari giudiziari hanno accertato che la bustarella non è tramontata mai anche perché le condanne per corruzione (poi ci sono le assoluzioni, le prescrizioni...) sono nel 98% dei casi inferiori ai due anni. Lo denuncia la Banca Mondiale, secondo cui se ne vanno in tangenti, in Italia, 50 miliardi di euro l’anno, tutti soldi che poi, a causa dei rincari delle commesse, pesano sulle tasche dei cittadini. Così come pesano ancora sulle pubbliche casse le mazzette di una volta, che secondo il centro Einaudi di Torino incisero, soltanto negli anni Ottanta, «dal 10 a quasi il 15% del deficit complessivo».
Lo testimoniano infine le classifiche sulla percezione della corruttela elaborate da Transparency: nel 1993, in piena Tangentopoli, eravamo al 30˚posto tra i Paesi virtuosi. Nel 2007 stavamo al 41˚e quest’anno siamo precipitati al 55˚. Dietro (a parte la Grecia che di questo passo sorpasseremo a ritroso) abbiamo solo Paesi come la Turchia, la Tunisia, la Georgia, la Colombia... Davanti abbiamo il Portorico, il Botswana, Cipro... Qualcuno obietterà che si tratta di graduatorie da prendere con le pinze. Giusto. Ma certo la nostra reputazione, in questo settore, è pessima.
La tentazione che pare serpeggiare qua e là, a destra e a sinistra, è quella di uscirne dando una regolata alla magistratura: meno inchieste, meno arresti, meno scandali, meno indignazione popolare, meno astensione alle urne. Ma ammesso che qualche giudice abbia esagerato: sarebbe questa la soluzione?
19 dicembre 2008 Corriere della Sera

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