venerdì 19 dicembre 2008

Rosetta testadura

Tarbell/la moglie19/12/2008 (7:35) - PERSONAGGIO
Rosetta la testona all’ultima sfida"Non sono sola"
Il sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino
La sua forza? E’ convinta dell’eternità del potere
MARCELLO SORGI
ROMA La mamma della Dc. Macché. La supernonna. La superministra. La lady di ferro. La celebrante del funerale della Dc. Quante gliene hanno dette alla povera Rosa Russo Iervolino, la sindaca di Napoli che mercoledì pomeriggio, con mezza giunta comunale agli arresti, s’è fatta dare da Veltroni l’appoggio per restare in carica, anche se molte, a cominciare da un’altra donna importante del suo partito come Anna Finocchiaro, al suo posto si sarebbero dimesse. «Ma io sono una testona!», ha detto Rosa, con quella sua inconfondibile voce stridula che la fa disperare («Mi hanno detto che per cambiarla dovrei fare un lungo corso, adesso non ho tempo, magari in vecchiaia …»). In realtà, sul fatto che si dimettesse, nessuno avrebbe scommesso un cent. Le dimissioni, l’uscita di scena, sono così lontane dalla tradizione democristiana quanto invece è forte l’idea dell’eternità del potere. «L’eterno ritorno del sempre uguale», diceva Forlani, uno dei maestri di Rosetta. Cattolica, cattolicissima, devota di Padre Pio, che incontrò una volta personalmente nel 1953, dodici anni e più al governo prima di sfiorare il Quirinale, per poi finire a Napoli, la città che da ministro dell’Interno aveva definito nel ’98 «la prima emergenza italiana», Rosetta ha avuto almeno due vite. La prima da figlia d’arte, al seguito di un padre, Angelo Raffaele Iervolino, quattro volte ministro negli Anni Cinquanta, e di una madre, la baronessa Maria De Unterrichter, prima donna sottosegretaria nel ’54. Vita familiare austera, a Roma madre e figli vanno a vivere in un convento di suore per nove anni, mentre il padre si appoggia dai francescani. E dura scuola politica nel Cif, l’organizzazione femminile democristiana le cui adepte, a guardare oggi le foto, sembrano monache senza la tonaca. Rosetta porta due lunghe «trecce da telegrafista», veste con quei tailleurini che ancora oggi sono la sua divisa d’ordinanza, sposa un medico abruzzese, Vincenzo Russo, che la lascerà presto vedova con tre figli. E naturalmente entra in politica: «Avevo avuto Moro testimone di nozze e Amendola vicino di casa. Che altro potevo fare?».E’ un filino più giovane di Tina Anselmi e Franca Falcucci, altra generazione di combattenti democristiane. E viene dal centro del centro della Dc. Gens fanfaniana, prima, poi forlaniana, vecchia scuola di pugno di ferro in guanto di velluto. Se si vuol capire cosa spinga oggi la Iervolino ad arroccarsi a Napoli, mentre la città frana sotto i suoi occhi, è di qui che bisogna partire. La sua fortuna è l’ultima stagione di rinnovamento democristiano, un sussulto prima della fine. E’ uno di quei classici frangenti in cui, per far fronte alla crisi, ci si affida al potere materno, alla metapolitica, al nuovo look per coprire le vecchie magagne. Rosetta «lava, stira e cucina», ripete orgogliosa. E fa carriera. Ministro degli Affari speciali nell’87, poi della Pubblica Istruzione nel ’93, fino al Viminale nel ’98, con D’Alema. L’Istruzione, il vecchio ministero di viale Trastevere, è un’occasione d’oro. Rosetta prende di mira il fumetto anti-Aids Lupo Alberto che propaganda l’uso del preservativo, e movendosi di conserva con il Vaticano, lancia la sua campagna. Si attirerà contro gli strali del movimento studentesco della «Pantera», gli slogan contro «la ministra bigotta», le prime imitazioni televisive di Loretta Goggi e gli attacchi, perfino, di Gianna Nannini, la più trasgressiva delle cantanti italiane, forse attirata dalla solita questione della voce. Ma lei, Rosa, non si preoccupa. E va avanti diritta. Siamo ai giorni della caduta della Prima Repubblica e dell’inizio della metamorfosi di Rosetta, la sua seconda vita. Nella Dc morente non c’è più spazio per le rivalità correntizie: come dicevano sempre i democristiani «occorre far quadrato». Il quadrato di Rosetta è al vertice del partito, seduta sulla poltrona di ultimo presidente scudocrociato, accanto a Martinazzoli segretario, prima della trasformazione in partito popolare. E il suo trampolino, segno di una svolta ormai avvenuta, dai modi curiali della Prima Repubblica a quelli mediatici della Seconda, è il caso O’Dell. Nel 1996 O’Dell è uno dei tanti disgraziati che stanno per essere messi a morte in America. Rosetta non si limita a perorare la clemenza e la revisione di un processo che, come spesso accade in circostanze simili negli Usa, contiene qualche ombra. Riesce a stabilire un contatto con il condannato, gli scrive in penitenziario, riceve risposta, pubblica una sua lunga lettera sulla prima pagina del Popolo. E benché in concorrenza con Leoluca Orlando, che pur di oscurare la campagna iervoliniana, giunge a offrire sepoltura al povero O’Dell nel cimitero di Palermo, Rosetta, grazie al suo impegno, si folklorizza e insieme si trasforma: da emblema della tradizione femminile democristiana, in donna simbolo dell’Ulivo nascente, icona pop delle manifestazioni post-femministe, che si fa fotografare con in braccio l’adorato gatto Camomilla. A una manifestazione di una campagna elettorale per le amministrative parziali del ’98, arriva perfino a ballare, sotto gli occhi sbalorditi degli anziani di un ospizio che è andata a visitare. Dal ’98 al ’99 è ministro dell’Interno per pochi mesi, nel primo governo D’Alema. «Dopo mi hanno dato una pedata – dirà nel ’99, quando a sorpresa la rimpiazzano – e io me la sono presa. Ci vuol altro per farmi fuori». Siamo a qualche settimana dall’elezione del nuovo presidente della Repubblica, e Rosetta è in pole position. Poi al Quirinale andrà Ciampi, ma nel giorno della votazione plebiscitaria per il nuovo Capo dello Stato, Rosetta, nell’aula della Camera, andrà verso l’urna accompagnata da un applauso bipartisan che suona come una definitiva consacrazione. A Napoli arriva, anzi torna (ci ha passato una parte della gioventù) nel 2001. Eletta al primo colpo contro il coordinatore di Forza Italia Martusciello. Campagna stradaiola, tante strette di mano, la voce di Rosetta come un sibilo la sera della vittoria. Un buon inizio, sull’onda ormai calante del «Rinascimento partenopeo» che sta per finire, seguito da una serie infinita di guai e da qualche infortunio, tipico della nuova stagione plebiscitaria dei sindaci eletti direttamente dai cittadini. Come quando, a novembre 2002, andata ad inaugurare la mostra d’arte contemporanea «Napoli Anno Zero: qui e ora», si trova davanti a un doppio ritratto, suo e di Bassolino, nudi a mezzo busto. Rosetta a seno aperto: incredibile! La stagione delle delusioni s’avvicina. Da rinata che era, Napoli torna ad essere morente. Il giorno della sconfitta alla nomination per la Coppa America troverà la Iervolino malinconica, silenziosa, abbandonata su una sedia, sotto i flashes dei fotografi che la ritraggono con in mano un cornetto smozzicato. Rosetta vincerà ancora nel 2006, ma fuori tempo. La nuova donna-simbolo di Napoli, ormai, è Mara Carfagna. La Stampa

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