mercoledì 18 febbraio 2009

Il commento di Maltese

Politican woman/TissotUn gruppo dirigente segnato da tempo per il qualeBerlusconi continua ad essere un oggetto misterioso
L'ira dei militanti: andatevene tutti
Tutto un vertice finisce sotto processo
di CURZIO MALTESE
ROMA - "Con questo gruppo dirigente non vinceremo mai". L'invettiva di Nanni Moretti a Piazza Navona era la più citata nel drappello di curiosi e militanti davanti alla sede del Partito Democratico, in attesa dell'ultimo atto dell'era Veltroni. Sfilava un pezzo di nomenklatura. Fassino e Bersani, Letta e Bindi, Finocchiaro e Soro. Erano entrati la mattina da congiurati, gioviali nonostante tutto, pronti a infilare qualche altra banderillas nel corpo del capo. Sono usciti alle due, quando s'era ormai capito che "Walter faceva sul serio", mogi e silenziosi, scansando telecamere e taccuini, spiazzati, perplessi, scongiurati. A parti invertite, Walter Veltroni è stato il solo a uscire con passo leggero, sorridente, sollevato. L'immagine di un uomo tornato libero. E dire che li aveva avvisati. "Guardate che non rimarrò a farmi infilzare. Non v'illudete, la mia fine sarà quella dell'intero gruppo dirigente". Sembravano parole. Ma il fatto, le dimissioni, cambia il senso della profezia. Fa apparire l'estinzione vicina, quasi inevitabile. "E' la strategia dei lemmings" commenta lo scrittore e senatore Pd Gianrico Carofiglio, i roditori che per combattere i tempi di carestia si gettano in massa dai dirupi. Alle quattro le dimissioni sono irrevocabili e il pezzo di nomenclatura presente s'attacca al telefono per consultarsi con gli assenti: D'Alema, Rutelli, Fioroni, Marini. "E adesso, che facciamo?". L'evento tanto atteso, evocato, programmato, le dimissioni di Veltroni, li annienta di colpo. Era tutto scritto, la batosta elettorale di giugno, la nomina di Bersani alla successione, in attesa magari di farsi venire qualche altra idea, fidando nel logoramento della maggioranza alle prese con la crisi. Un'altra strategia fallita, rovesciata in corsa al dirupo. Per giunta, fra gli applausi.
Sui siti del partito, dei giornali, delle televisioni, piovono migliaia di messaggi di elettori che ripetono, in forme più o meno colorite, la stessa richiesta: "Ora andatevene tutti". E' lo stesso messaggio che da mesi arriva da ogni elezioni, dal Friuli alla Sardegna. Perfino dalle primarie di Firenze, l'epicentro in tutti questi anni delle lotte fra guelfi veltroniani e ghibellini dalemiani, o viceversa se volete. Dove stravince al primo turno il candidato Matteo Renzi, 34 anni, con una campagna impostata su un attacco al giorno a Veltroni e uno a D'Alema, per mesi. I lemmings democratici sono rimasti a beccarsi fino all'orlo del precipizio, e poi giù tutti insieme. E' un gruppo dirigente segnato da tempo, dalla profezia di Piazza Navona. Sopravvissuto a lungo grazie all'odiato Romano Prodi e poi, per poco, grazie all'odiato Walter Veltroni. Specializzato nel segare il ramo sul quale si poggia. Un gruppo dirigente per il quale Silvio Berlusconi, a distanza di vent'anni, continua a essere un oggetto misterioso, impossibile da contrastare. "Per due mesi è stato lasciato libero di scorrazzare a caccia di voti in Sardegna, senza che il partito mettesse in campo una risposta adeguata", hanno acutamente osservato i critici di Veltroni anche nella riunione di ieri. Sempre dopo, però, e col tono dei commentatori esterni. "Ora si apre l'ennesimo dibattito. Inutile come i precedenti, finché i dirigenti non capiranno che una stagione, la loro, è finita. Bisogna andare, anzi correre a un ricambio generazionale". Ha ragione Francesco Boccia, classe 1968, economista e deputato Pd. Ma con chi? Boccia è uno dei pochi scampati alla silenziosa epurazione di giovani di talento, di amministratori popolari, insomma di potenziali successori, che in questi anni ha stroncato il futuro del centrosinistra, per concludersi in bellezza con il siluramento di Riccardo Illy e Renato Soru. "Spazzati via da Berlusconi ma anche dal Pd", come ammette lui stesso. Alla linea di Boccia, l'avvento di una nuova generazione per generosa volontà degli attuali dirigenti, si contrappone l'esempio di Renzi. La sfida aperta dei giovani ai vecchi, l'uccisione simbolica dei padri. Qualcuno che si presenti alle primarie, l'unica soluzione ormai possibile, con l'accento del papa straniero, da fuori e contro la nomenklatura. Uno in grado di parlare una nuova lingua, capace di farsi ascoltare perfino da quel gruppo di giovani studentesse che ieri per qualche minuto ha sostato davanti alla sede del dramma, attratta dalle luci delle telecamere. Finché non hanno chiesto: "Ma che c'è là dentro?". E alla risposta ("La sede del Pd, il vertice con Veltroni") hanno commentato: "Ah, credevamo uno famoso". E sono sparite in un attimo.
(18 febbraio 2009) La Repubblica

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