domenica 1 febbraio 2009

L'immigrato sei tu

Van GoghMAPPE
Il nemico straniero in fabbrica
di ILVO DIAMANTI
LA PROTESTA esplosa in Gran Bretagna contro l'arrivo di 300 lavoratori italiani impiegati nella costruzione di una raffineria è inquietante ma, al tempo stesso, istruttiva. Serve, infatti, a mettere in luce - e a nudo - alcuni effetti della trasformazione globale e sociale, in tempi di crisi. A partire da un aspetto che si tende a svalutare o a leggere con le lenti dell'ideologia. Ogni mutamento demografico e sociale improvviso nel mondo locale e nella vita quotidiana suscita reazioni. Si tratti di flussi di emigranti di ingenti dimensioni, spinti dalla miseria e dalla paura; oppure di gruppi di lavoratori di entità limitata e con compiti definiti, non importa: appaiono, comunque, stranieri. Entrano "a casa nostra". Interferiscono con le nostre abitudini, le nostre regole, i nostri equilibri. Incrinano le nostre certezze. Questa considerazione non vale solo per l'Italia, che ha conosciuto solo da pochi anni il fenomeno dell'immigrazione, dopo essere stata per un secolo paese di grandi emigrazioni. Come mostrano le indagini internazionali, l'immigrazione - ogni immigrazione, anche temporanea, anche di ridotte proporzioni - agisce come una sorta di "diagnostica" del sentimento sociale e del modello istituzionale. Dovunque. Ne mette, cioè, in evidenza i limiti, le tensioni. Per cui, in Gran Bretagna, paese multietnico e multiculturale di tradizione lunga e consolidata, l'immigrazione solleva un allarme sociale molto limitato dal punto di vista dell'identità e della sicurezza. Mentre genera ansia per gli effetti sul lavoro e sulla disoccupazione. Basta osservare i dati dell'indagine europea, condotta (da un decennio) da Demos per Intesasanpaolo.
Quasi una persona su due, in GB, considera gli immigrati "una minaccia per l'occupazione". Il dato più elevato fra i paesi occidentali della Ue; superato largamente da quelli dell'Europa centro-orientale: Cekia, Polonia, Ungheria (ma non Romania). Dove il lavoro "manuale" è vissuto come risorsa scarsa e a rischio. La protesta dei lavoratori inglesi (nel Nord, l'area economicamente più debole del paese) non deve, quindi, sorprendere. Ma allarmarci sì. Perché dimostra come la crisi stia drammatizzando la paura. Al punto da trasformare 300 lavoratori italiani in un contingente di "nemici". Peraltro, in Italia il colore della paura sollevato dagli immigrati, fino a ieri, è apparso diverso. Segnato dall'insicurezza. Ancora un anno fa, il 50% degli italiani ritenevano l'immigrazione un problema per l'ordine pubblico. Una fonte di preoccupazione per la sicurezza personale e domestica. Soprattutto nelle regioni del Nord e nel Nordest. Dove, invece, gli immigrati non hanno mai generato particolari timori per l'occupazione. D'altra parte, si tratta di aree ad altissimo sviluppo, con tassi di disoccupazione molto bassi. La struttura produttiva, imperniata su piccole e piccolissime imprese manifatturiere, si è allargata, negli ultimi anni, solo grazie al lavoro degli immigrati, occupati nelle mansioni più faticose e meno remunerate. Progressivamente abbandonate dagli italiani e soprattutto dai giovani. Così la presenza degli stranieri è stata accolta come una "necessità" per lo sviluppo, ma, al tempo stesso, come un "problema" di sicurezza. Gli stranieri: utili, anzi utensili. Da restituire ai proprietari - i paesi d'origine - dopo l'uso. Molto presto, possibilmente. Fino a ieri, però. Perché da qualche tempo il clima d'opinione è cambiato anche in Italia. Anche nel Nord. Anche nel Nordest. L'abbiamo già segnalato altre volte, nei mesi scorsi. In poco tempo la quota di italiani che considera gli immigrati una minaccia per l'ordine pubblico e per la sicurezza dei cittadini è caduta: dal 53% al 35% (Demos-Unipolis, novembre 2008). Una componente ampia, ma molto più ridotta rispetto all'anno precedente. A causa della fine della guerra elettorale, amplificata dai media. Visto che lo spazio attribuito alla criminalità comune e alle illegalità commesse dagli immigrati si è ridotto notevolmente, nell'informazione tivù (come ha messo in luce un'indagine dell'Osservatorio di Pavia). Tuttavia, l'allentarsi della leva politica e mediatica non è l'unica spiegazione di questo cambiamento d'umore. Molto ha pesato, al proposito, la crisi economica e finanziaria internazionale, che ha colpito anche l'Italia. Tanto che 1 persona su 10 oggi (dicembre 2008) sostiene che qualcuno, nella sua famiglia, ha perduto il lavoro oppure è in cassa integrazione. E oltre metà degli italiani afferma che la crisi in atto ha peggiorato la sua condizione e il suo stato d'animo. La crisi. Ha cambiato in fretta gli italiani. Ne ha modificato comportamenti, atteggiamenti, stili di vita. I sentimenti. Così, rispetto a ieri, gli immigrati sono percepiti meno come una minaccia alla persona, alla proprietà, al domicilio. E assai di più: al lavoro, all'occupazione. Si tratta di una tendenza che comincia a divenire evidente nei sondaggi. Anche se non appare ancora lacerante. Lo potrebbe divenire se le - diffuse e crescenti - difficoltà che attraversano il sistema industriale nel Nord si drammatizzassero ulteriormente. Se, d'altra parte, gli immigrati "pretendessero" di entrare nel mercato del lavoro più qualificato, senza rassegnarsi alle mansioni più povere e marginali. D'altra parte, qualche sofferenza, al proposito, è rivelata dalla proposta leghista di una imporre una fideiussione agli immigrati che intendano avviare attività imprenditoriali. Quasi un messaggio protezionista rivolto al popolo delle partite Iva del Nord, base elettorale della Lega. La "rivolta" inglese contro i lavoratori italiani, per questo, risulta esemplare e, a modo suo, educativa. Rammenta che la storia non è scritta una volta per tutte, ma può ripetersi. Anche se non si presenta mai uguale a prima. Semmai, con segno contrario. I romeni, gli albanesi e i marocchini potrebbero, quindi, cambiare immagine ai nostri occhi. Non più violentatori, ladri e spacciatori (potenziali). Ma, piuttosto, concorrenti (reali) sul mercato del lavoro. Non più specchio dell'inquietudine post-materialista, tipica di una società del benessere. Ma delle angosce prodotte da timori "materiali", tipici di una società del malessere (economico). Il reddito e la disoccupazione. Lo stesso, d'altra parte, sta capitando - è capitato - anche a noi. Accolti, fuori dai nostri confini, con diffidenza e ostilità. Come in passato. Ma per motivi opposti. Ieri, ci temevano perché eravamo emigranti poveri, senza lavoro. Oltreoceano. (I poveri fanno sempre paura). Oggi, invece, oltremanica, temono gli italiani perché li considerano "ladri di lavoro".
(1 febbraio 2009) La Repubblica

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