mercoledì 27 settembre 2006

Never forget: Don GIUSEPPE PUGLISI

O.Bednar-Crisantemi


Don Giuseppe Puglisi nasce nella borgata palermitana di Brancaccio il 15 settembre 1937, figlio di un calzolaio e di una sarta, e viene ucciso dalla mafia nella stessa borgata il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno.

Entra nel seminario diocesano di Palermo nel 1953 e viene ordinato sacerdote dal Cardinale Ernesto Ruffini il 2 luglio 1960. Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del SS.mo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi.

Nel 1967 è nominato cappellano presso l’Istituto per orfani di lavoratori «Roosevelt» e vicario presso la parrocchia Maria SS.ma Assunta Valdesi.

Sin da questi primi anni segue con attenzione i giovani e si interessa delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città.

Il primo ottobre 1970 viene nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo - segnato da una sanguinosa faida - dove rimane fino al 31 luglio 1978 riuscendo a riconciliare le famiglie con la forza del perdono.

In questi anni segue anche le battaglie socia­li di un’altra zona della periferia orientale della città, lo «Scaricatore». Il 9 agosto 1978 è nominato pro-rettore del Seminano minore di Palermo e il 24 novembre dell’anno seguente direttore del Centro Diocesano Vocazioni. Nel 1983 diventa responsabile del Centro Regionale Vocazioni e membro del Consiglio nazionale.

Agli studenti e ai giovani del Centro Diocesano Vocazioni ha dedicato con passione lunghi anni realizzando, attraverso una serie di “campi scuola”, un percorso formativo esemplare dal punto di vista pedagogico e cristiano.

Don Giuseppe Puglisi è stato docente di matematica e poi di religione presso varie scuole.

Ha insegnato al liceo classico Vittorio Emanuele II a Palermo dal 78 al 93.

Dal 23 aprile 1989 sino alla morte svolse il suo ministero sacerdotale presso la Casa Madonna dell’accoglienza dell’Opera Pia Card. E. Ruffini in favore di giovani donne e ragazze in difficoltà.

Nel 1992 assume l’incarico di direttore spirituale nel Seminario Arcivescovile di Palermo.

A Palermo e in Sicilia è stato tra gli animatori di numerosi movimenti tra cui Presenza del Vangelo, Azione Cattolica, Fuci, Equipe Notre Dame.

Il 29 settembre 1990 è nominato parroco della Parrocchia S. Gaetano di Brancaccio. L’annunzio di Gesù Cristo desiderava incarnarlo nel territorio, assumendone quindi tutti i problemi per farli propri della comunità cristiana.

La sua attenzione si rivolse al recupero degli adolescenti già reclutati dalla criminalità mafiosa, riaffermando nel quartiere una cultura della legalità illuminata dalla fede.

Questa sua attività pastorale come è stato ricostruito dalle inchieste giudiziarie ha costituito un movente dell’omicidio, i cui esecutori e mandanti sono stati arrestati e condannati.

Nel ricordo del suo impegno, scuole, centri sociali, strutture sportive, strade e piazze a lui sono state intitolate a Palermo e in tutta la Sicilia.

A partire dal 1994 il 15 settembre, anniversario della sua morte, segna l’apertura dell’anno pastorale della diocesi di Palermo.

Il 15 settembre 1999 il Cardinale Salvatore De Giorgi ha insediato il Tribunale ecclesiastico diocesano per il riconoscimento del martirio di don Giuseppe Puglisi, presbitero della Chiesa Palermitana.

La sua vita e la sua morte sono state testimonianze della sua fedeltà all’unico Signore e hanno disvelato la malvagità e l’assoluta incompatibilità della mafia con il messaggio evangelico.
Lo hanno ucciso in "strada". Dove viveva, dove incontrava i "piccoli", gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e

quanti, con la propria condotta, si rendevano responsabili di illegalità, soprusi e violenze. Probabilmente per questo lo hanno

ucciso: perché un modo così radicale di abitare la "strada" e di esercitare il ministero del parroco è scomodo.

Lo hanno ucciso nell'illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, di denuncia, di condivisione.

Ricordare quel momento significa non soltanto "celebrare", ma prima di tutto alzare lo sguardo, far nostro l'impegno di don

Giuseppe, raccogliere quell'eredità con la stessa determinazione, con identica passione e uguale umiltà.




Cosa ci ha consegnato don Giuseppe? Innanzitutto il suo modo di intendere e di vivere la parrocchia, di essere parroco.

Non ha pensato, infatti, la parrocchia unicamente come la "sua" comunità di fedeli, come comunità di credenti slegata dal contesto

storico e geografico in cui è inserita. L'ha vissuta, prima di tutto, come territorio, cioè come persone chiamate a condividere uno

spazio, dei tempi e dei luoghi di vita. Per partecipare alla vita di chi gli era vicino ha accettato di percorrere e ripercorrere le strade

del rione Brancaccio. Ha vissuto la strada -quella strada che Gesù ha fatto sua- come luogo di povertà, di bisogni, di linguaggi,

di relazioni e di domande in continua trasformazione. L'ha abitata così e ha tentato, a ogni costo, di restarvi fedele.

In altre parole, ha incarnato pienamente la povertà, la fatica, la libertà e la gioia del vivere, come preti, in parrocchia.

Con la sua testimonianza don Pino ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio.

Non il silenzio di chi rinuncia a parlare e denunciare, ma quello di chi, per la scelta dello "stare" nel suo territorio,

rifiuta le passerelle o gli inutili proclami. "Beati i perseguitati a causa della giustizia perché di essi è il Regno dei cieli" (Mt 5, 10).

Anche questo ci ha consegnato don Giuseppe: una grande passione per la giustizia, una direzione e un senso per il nostro

essere Chiesa e soprattutto un invito per le nostre parrocchie ad alzare lo sguardo, a dotarsi di strumenti adeguati e incisivi

per perseguire quella giustizia e quella legalità che tutti, a parole, desideriamo. Per questo don Giuseppe è morto:

perché con l'ostinata volontà del cercare giustizia è andato oltre i confini della sua stessa comunità di credenti.

"Entrato in casa di uno dei capi dei farisei, Gesù..." (Lc 14, 1). Ecco un altro aspetto ricco di significati.

Al di là dei princìpi o delle roboanti dichiarazioni ciò che conta è la capacità di viverli e di praticarli nella quotidianità.

Don Puglisi non è stato ucciso perché dal pulpito della sua

chiesa annunciava princìpi astratti, ma perché ha voluto uscire dalla loro
genericità per testimoniarli nella vita quotidiana, dove le relazioni e i problemi assumono la dimensione più vera.

da: www.giovaniemissione.it

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