venerdì 14 dicembre 2007

Francesca Morvillo


Francesca Laura Morvillo (Palermo, 14 dicembre 1945Palermo, 23 maggio 1992) fu un magistrato italiano.
QUELL' AMORE BLINDATO DI UNA COPPIA BORGHESE
di Alessandra Longo
Francesca Morvillo e Giovanni Falcone si erano conosciuti negli anni dei veleni provocando i rimproveri dell' allora presidente della Corte d' appello. I weekend sulla macchina corazzata e in barca. Anche lei era un magistrato, come il marito, come il padre Guido e il fratello Alfredo. Una vita tra orari sirene, cautela, con i ragazzi della scorta, gli stessi uccisi sabato.
PALERMO - "No, non voglio pensare a quello che potrebbe succedere a Giovanni, lui deve continuare il suo lavoro, la sua vita è questa, non potrebbe farne a meno, e io devo stargli accanto...". Francesca Falcone aveva scelto per compagno un uomo che poteva morire. Lei stessa sapeva di rischiare la vita per il semplice fatto di essergli moglie. Ma lo amava, si amavano. Era una bella storia, quella di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo. Sono morti assieme, uno vicino all' altro, lui al volante, lei nel sedile accanto. Li hanno estratti ancora vivi da quell' inferno, Francesca è sopravvissuta per cinque ore, il corpo devastato, le gambe spezzate, il ventre squarciato. Aveva 46 anni. Anche lei magistrato. Ora è in quella bara di legno scuro, sopra la toga rossa e nera da giudice. Era un magistrato anche lei, come Falcone, come il padre Guido, "rimpianto galantuomo", come il fratello Alfredo, sostituto procuratore a Palermo nel pool antimafia. Una complicità in più da dividere con l' uomo della sua vita conosciuto tardi, dopo un primo matrimonio per entrambi andato male. Tutti e due riservati, allevati nel culto della privacy, legati a poche persone, selezionatissime, sempre quelle, da anni Maria e Anna, le due sorelle anziane del giudice, i nipoti, il giudice Ayala, compagno di svago in quella villa di amici alle Eolie, weekend di mare, sole, vela e libri. Una coppia qualunque turbata da quel perenne alone di morte. Piangono le colleghe di Francesca, accarezzano incredule quella bara chiusa. Spezzoni di parole fra i singhiozzi. "Cardinale Pappalardo - sussurra una di loro - mi chiedo se abbiamo fatto tutto per lei. Speravamo così tanto che riuscisse a sopravvivere che non abbiamo pensato a farle impartire l' estrema unzione. Ci pensi lei, adesso, subito, la prego...". E Pappalardo pallido, l' espressione ferma, quasi assente "Ora non posso, lo faremo durante la messa". "Il nostro futuro è incerto", aveva ammesso, anche a se stessa, Francesca Morvillo, i capelli biondi, il sorriso dolce, aperto, a volte rassegnato. Ecco la terribile croce da portare, una vita blindata, orari, sirene, cautela, con i ragazzi della scorta, gli stessi che sono stati uccisi sabato. Ma come fermare Giovanni, se quella era "la sua missione"? Dentro il Palazzo, negli anni dei veleni, si erano conosciuti e piaciuti. Subito le chiacchiere, i sospetti, le cattiverie. "Giudice, lei dà scandalo per la sua relazione con la collega", aveva detto a Falcone l' allora presidente della Corte d' appello Giovanni Pizzillo, "le consiglio di chiedere un trasferimento per non essere io stesso costretto a rivolgermi al Csm...". E Falcone serio, infastidito da quella incursione nel privato "Eccellenza, non abbiamo nulla da nascondere, nulla da rimproverarci. Faccia pure quello che ritiene suo dovere...". Non era un' avventura, una trasgressione. E' durata fino alla morte. "Si volevano bene", dice con un filo di voce il cognato di Falcone, marito di Anna, una delle sorelle. Tre anni fa l' attentato, una prova terribile, superata assieme. Raccontano gli amici che il giudice tremò per quella compagna fragile e spaventata, la mandò via dalla villa dell' esplosione, la stessa notte. Lei non voleva, avrebbe preferito restargli accanto. Poi, il matrimonio. Due anni fa, lo celebrò l' allora sindaco Leoluca Orlando, "a mezzanotte come i ladri". Niente figli troppo pericolo, troppo egoismo. Francesca, promossa da giudice minorile a consigliere di Corte d' appello, si sforzava comunque di condurre un' esistenza normale. Lavorava moltissimo. Ricorda Pasquale Barreca, presidente della sezione di Corte d' appello "nel ' 79 abbiamo collaborato. In tre mesi siamo riusciti a evadere 1O70 pratiche. Era uno spirito libero, attenta, dotata di un eccezionale intuito". A casa, in via Notarbartolo, là dove adesso, appoggiati al tronco di una magnolia, ci sono i fiori freschi del dolore di pochi, i Falcone avevano due scrivanie, piene di fascicoli, ognuno il suo lavoro. Poche rampe di scale più giù, anche l' appartamento della suocera del giudice, la madre sessantenne di Francesca, una donna oggi piegata dal dolore, unica grande compagnia della figlia nei lunghi giorni di assenza del giudice. C' è una garritta ormai inutile, davanti a quella casa, riflettori puntati sul muro, agenti in strada, sul pianerottolo. Facce tristi, sono soprattutto loro che hanno portato i fiori. Francesca e la madre uscivano spesso assieme a fare la spesa, senza scorta. Usavano una normale Fiat Uno per spostarsi in città, niente vetri blindati, un' unica precauzione i clienti del garage erano tutti schedati, nomi e targhe. Le passeggiate della signora Falcone "Felicità - aveva confidato ad un' amica - è andare in centro a far compere con mia madre...". Lui in caserma lei a casa. Poi il weekend con il marito. Falcone la raggiungeva a Palermo. Lei, a bordo della macchina blindata, correva all' aeroporto. Si abbracciavano, si tenevano anche per mano. Andavano al cinema, ultimo spettacolo, a teatro, a mangiare pesce da Peppino al Politeama (un locale tutto stretto, ideale per le misure di sicurezza), o a Sferracavallo dal Delfino. O al mare, perché Falcone, diplomato all' accademia navale, si divertiva in barca a vela. Se non veniva lui era lei a volare a Roma. Si sentivano molto col cellulare, Francesca e Giovanni Falcone, un modo per non perdersi, per tranquillizzarsi. Lui in caserma, lei a casa, tutto bene. Di mafia, la moglie del giudice non voleva parlare "C' è già Giovanni in famiglia...". Oggi, lunedì, Francesca avrebbe rotto la regola. Aveva accettato di prendere la parola a Magistero assieme all' onorevole Mattarella, per presentare il libro scritto per le scuole da un' amica, Mirella Pizzini. "Non mettete però il mio nome sul cartoncino dell' invito...", era stata la richiesta in punta di piedi. E' morta dilaniata da una bomba dell' Antistato, sabato, assieme al suo compagno. "Sempre vivranno nella memoria della gente onesta", ha scritto un anonimo sotto la loro casa, inutilmente blindata. la Repubblica - Lunedì, 25 maggio 1992 da http://groups.msn.com/palermoattivacircolo/quellamoreblindatodiunacoppiaborghese.msnw

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