venerdì 18 gennaio 2008

Così fan tutti

Matrimonio innocente di Bulanddi Francesco Merlo
A NOI, scettici scanzonati che pensavamo di avere visto tutto, quel che più ci allarma nella pochade mastellare è l'avere appreso dalle intercettazioni telefoniche che i ginecologi in Campania sono laureati da Mastella e nelle sedi dei partiti. Che per un amministratore di Asl l'essere parente di un consuocero politico vale più di un expertise; e che la cuginanza con la signora Mastella è, nella scienza oncologica, un titolo più qualificante di un corso pluriennale di specializzazione. Insomma, finalmente sappiamo cosa chiedere al primario che ci vista in ospedale: non se è animato dalla passione di Ippocrate, e neppure in quale università si è laureato, ma da quale parentela è garantito, quale moglie di partito certifica le sue competenze. Per il resto, fateci caso, il giudice e il suo imputato si somigliano: nella facondia, nell'uso forte dell'indignazione, probabilmente nell'inadeguatezza, sicuramente negli accenti di sincerità che sono, in entrambi i casi, convincenti e disarmanti. E soprattutto si somigliano la vacuità di una giustizia montata sull'umore antipolitico e la vacuità di una politica montata sull'amore familiare. Il giudice è sincero quando veste di Diritto la secrezione biliosa dell'uomo qualunque contro la politica. Ma anche Mastella è sincero perché davvero non capisce cosa c'è di male a vestire da statista la propria moglie. Dice Mastella, profondamente scandalizzato: "Non capisco perché non indagano anche sulle mogli degli altri!". Davvero crede che sia normale scambiare e confondere la propria famiglia con lo Stato: non più "l'Etat, c'est moi" ma "l'Etat, c'est ma femme". Così stando le cose, è evidente che per un vero, grande statista è meglio essere ammogliati. Non puoi gestire un territorio né governare una Regione se sei single, se sei solo. Chi ci metti nel posto di maggiore responsabilità? Chi fai eleggere presidente del Consiglio regionale se non hai neppure una moglie, una fedele Sandra? La disperazione di Mastella intenerisce anche noi, ma al tempo stesso ci lascia sbigottiti. Ci smonta l'ingenuità infantile del "così fan tutti, perché perseguitate solo me?". Ma c'è di più: non solo Mastella pensa di fare quel che tutti fanno, ma pensa anche che sia giusto. Con tutta l'anima crede che la politica, la buona politica, sia controllare la macchina, surrogare competenze anche di ginecologia e di oncologia, impossessarsi della leva, non stabilire direzioni e marce ma sistemarsi e sistemare nella cabina di comando tutti i propri familiari, il proprio clan, la propria tribù: "E' possibile che noi dell'Udeur non abbiamo un ginecologo ? Come possiamo permettere che si vada da un medico che è fratello di uno di Forza Italia?". Certo, è sincera la disperazione di Mastella, ma è anche disperante perché Mastella, come dice spesso, si sente Mastellik, un apota che nessuno si mette in tasca, che nessuno può imbrogliare, il più ganzo e il più ganzamente specchiato, onestissimo italiano ruspante, familista fatto in casa come le torte di Ceppaloni: "Mi dimetto perché tra la famiglia e il potere scelgo la famiglia". Ecco: Mastella è disperante perché neppure gli passa per la mente di essere, lui, proprio in virtù di questo eccitato familismo di Stato di cui va fiero - lo stesso che travolse il governatore e la governatora della Banca d'Italia - uno dei protagonisti dello sfascio del paese. E' difficile essere ottimisti ma mai l'Italia potrà risollevarsi se non comincia a dividere le ragioni dello stato dalle ragioni della famiglia. Attenzione alla giustizia, però. E' vero che la politica continua a perdere la faccia. Ad ogni intercettazione, ad ogni retroscena, ad ogni rivelazione non viene fuori il reato della politica, ma la mancanza di dignità della politica. E la dignità, almeno per noi, vale più del Diritto. Dietro la foglia di ogni banale fatto di cronaca, troppo spesso spacciato per delitto, sta sempre e comunque nascosto il fico groviglioso di sciatteria e di immondizia politiche. E qui, nella mastelleide, abbiamo addirittura la prova che non c'è più differenza tra un ospedale e il Tg1, che l'occupazione del potere è la stessa dappertutto, dalla Rai sino all'ultimo spazzino comunale. L'importante è allocare uomini di fiducia, come una volta i campieri agli angoli del latifondo. Ormai la politica, parafrasando Lenin, sostituisce anche l'elettrificazione. Ma può un giudice dar corpo giudiziario all'umore popolare - e qualunquista - contro lo strapotere della politica? Le considerazioni etico politiche che sembrano animare le motivazioni di quest'inchiesta, anche nell'uso terribile dell'arresto, sono probabilmente in sintonia con il cattivo sangue del Paese; ma un umore, anzi un malumore, non è la fucina del Diritto. Diciamo la verità: da quel che sinora è venuto fuori, quest'inchiesta sembra appartenere alla famiglia delle inchieste di Potenza, a quelle indagini italiane, sempre più frequenti, che non al codice penale rimandano ma al moralismo ideologico e alla giustizia spettacolo, alla ruota del pavone. Perciò, come dicevamo, in questa vicenda giudice e imputato finiscono con il somigliarsi. Abbiamo visto Mariano Maffei, il procuratore capo di santa Maria Capua a Vetere in una straordinaria performance a Matrix, la trasmissione di Enrico Mentana. Anche Maffei sembrava sincero, come Mastella. Anch'egli ha parlato a lungo, scandendo - come Mastella - la propria indignazione, con il tono, lo stesso di Mastella alla Camera, di chi sta pronunziando un testamento spirituale. Ma solo si capiva che Maffei era indignato: "sono servitore dello Stato da 44 anni", "sono un funzionario della giustizia", "hanno offeso la mia onorata reputazione", "il ministro Mastella ha insultato la mia professionalità...". Ecco: una volta il qualunquismo gianniniano voleva, contro la politica pervasiva e prepotente, per battere i fronzoli e le vischiosità della democrazia, mandare un ragioniere a capo dello Stato. Oggi contro il familismo di Stato, contro i cugini delle mogli, contro gli oncologi di partito, sembra che il qualunquismo abbia scelto le procure. Alle fine tutti pensano di essere lo Stato. Dobbiamo rassegnarci che non ci sia lo Stato, ma un affollamento di surrogati di Stato? (18 gennaio 2008) FONTE:http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/cronaca/moglie-mastella/cosi-fan-tutti/cosi-fan-tutti.html
Pubblicato da Francesca Vicedomini a 11.43 0 commenti


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