Sole di febbraio di Welliver
Silvio 2, da venditore a padre della patria
«Io Superman per i miei nipoti, ma con gli italiani è un’altra cosa»
MASSIMO GRAMELLINI
Nel cuore della notte italiana, l'uomo che vendeva miracoli se ne sta seduto con imbarazzo dietro la scrivania di ciliegio che Vespa ha estratto dal reliquiario Rai. La stessa su cui venne stipulato il famoso contratto del 2001. Milioni di anni fa. Il colpo d'occhio è notevole: lo studio, il conduttore, il doppiopetto presidenziale, il colore dei capelli (ma non il numero, centuplicato), la cravatta blu a pallini bianchi, tutto come una volta. Tutto tranne lui. Posso tornare al mio posto, chiede a Vespa, alzandosi dalla scrivania. Il suo posto non é più lì. L’uomo che vendeva miracoli ha cambiato merce, forse lavoro. E ha scelto la prima sortita televisiva della campagna elettorale per inscenare l’unico spettacolo a cui non ci aveva ancora abituati: la sua metamorfosi da outsider aggressivo a vecchio saggio della politica italiana. Da salvatore della Patria a presunto padre della medesima. E’ come se l’omino invadente che per tanti anni si era infilato in casa nostra per venderci il suo aspirapolvere, descrivendolo come l’ottava meraviglia del mondo, adesso si accontentasse di bussare discretamente, raccontandoci che sì, il suo funziona un po’ meglio di quello degli altri, ma che non dobbiamo caricarlo di troppe aspettative né farci troppe illusioni: la casa resterà sporca comunque, perché nessun aspirapolvere può togliere lo smog dalle pareti e i peli del gatto dagli angoli. La metamorfosi di Berlusconi comincia quando ammette di essere Superman solo per i suoi nipotini. Solleticato nell’ego dal comunista-milanista Sansonetti, che gli riconosce virtù taumaturgiche unicamente nel calcio, si allarga a elencare i propri meriti nell’edilizia, nell’editoria e nella tv. Ma arrivato alla politica ha il pudore di fermarsi. Di ammettere i suoi limiti. Dice che di fronte allo sconquasso mondiale in atto, con il petrolio alle stelle e il lavoro che emigra in Oriente, nessun governo, nemmeno il suo, potrà ridare la prosperità agli italiani in tempi brevi. Che certo, solo lui potrà togliere i rifiuti dai marciapiedi di Napoli. Ma che nessun governo, nemmeno il suo, potrà farlo tutto in una volta. E quando Vespa cerca di sfruttare la suggestione della scrivania per strapparli un impegno mirabolante e solenne, Berlusconi non va oltre la promessa di quel che non farà: l’aumento delle tasse. Ed è cosa diversa da dire: meno tasse per tutti. Nel nuovo patto che gli piacerebbe sottoscrivere con gli italiani non c’è più spazio per i sogni caramellati della pubblicità. Ridurre il costo dello Stato, certo, ma un po’ alla volta e grazie all’esperienza acquisita. Abbassare le imposte sugli straordinari e gli incentivi aziendali per premiare gli sgobboni. E aumentare lo stipendio ai lavoratori dipendenti, che ne hanno bisogno più degli autonomi: detto dal santo patrono delle partite Iva, equivale a un’autentica controrivoluzione. Con un transfert che affascinerà gli psicologi, Berlusconi trasforma Veltroni in uno specchio che riflette il suo passato. E’ il se stesso di un tempo che critica, quando dice che il rivale ha bisogno di fare discorsi onirici per nascondere il vuoto di proposte concrete e che la sinistra fa promesse impossibili da mantenere. Mentre lui, Silvio, l’uomo dei sogni e della crociata anticomunista, assicura cinque anni di governo pragmatico e senza ideologie. Si fa forza di ciò che aveva sempre irriso: la sua esperienza di politico, maturata nei cinque anni trascorsi a Palazzo Chigi, che gli permetterà di ridurre al minimo la percentuale di errori. Se Walter gioca a fare Obama, Berlusconi si sente Hillary: l’usato sicuro. Qualcuno penserà che stia recitando l’immagine dello statista moderato e responsabile alla Kohl. Ma vera o falsa che sia, è comunque la rappresentazione di sé che ha deciso di dare in questa campagna. Ed è una mossa sorprendente e imprevedibile, tanto che qualcuno la addebiterà a uno sbalzo di umore o di pressione. Ai nostalgici del cumenda brianzolo, non resta che aggrapparsi agli squarci del berlusconismo d’antan. Quando rintuzza le profferte di Rambo Stallone, che lo vorrebbe presidente degli Stati Uniti, dicendo che gli costa già abbastanza fatica occuparsi dello 0,6% delle terre emerse (chi, se non lui, poteva definire l’Italia così?). Quando nomina Zaccagnini e invece intendeva Martinazzoli, tanto tutti e due erano democristiani tristi e pieni di zeta. Quando parla della madre chiamandola la mia mammina. Quando sostiene che il calo dei consumi dipende dalla lotta all’evasione fiscale, che avrebbe messo paura agli italiani, togliendo loro la voglia di spendere. Quando racconta per la terza volta in una settimana la storiella del ristoratore italoamericano di New York che per colpa dei servizi televisivi sulla spazzatura di Napoli è costretto a mostrare le sue cucine ai clienti.Ma la Metamorfosi prevale. Il Berlusconi demagogo mai avrebbe detto che la colpa dei partitini è degli italiani che li votano. E mai avrebbe attaccato frontalmente le minoranze che bloccano le maggioranze, come nel caso dei termovalorizzatori e della Tav. Se si aggiunge che ha parlato male dei magistrati una volta sola, in un inciso, che ha fatto gli auguri a Veltroni e i complimenti a Bertinotti, e che ha inneggiato alla libertà di stampa, definendo inevitabili e legittime le critiche che verranno fatte al suo governo, perché la situazione economica è quella che è. Ecco, se uno mette in fila tutte queste suggestioni, diventa naturale immaginare che Berlusconi si sia ricordato della profezia di Montanelli sugli italiani che, dopo averlo provato una volta, si sarebbero vaccinati e non l’avrebbero votato più. Vaccinati contro il vecchio Silvio. Perciò lui si è fatto nuovo. Silvio 2, come Rambo, ma senza vendetta. 13/2/2008 (7:12) - IL PERSONAGGIO Fonte:http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200802articoli/30085girata.asp

«Io Superman per i miei nipoti, ma con gli italiani è un’altra cosa»
MASSIMO GRAMELLINI
Nel cuore della notte italiana, l'uomo che vendeva miracoli se ne sta seduto con imbarazzo dietro la scrivania di ciliegio che Vespa ha estratto dal reliquiario Rai. La stessa su cui venne stipulato il famoso contratto del 2001. Milioni di anni fa. Il colpo d'occhio è notevole: lo studio, il conduttore, il doppiopetto presidenziale, il colore dei capelli (ma non il numero, centuplicato), la cravatta blu a pallini bianchi, tutto come una volta. Tutto tranne lui. Posso tornare al mio posto, chiede a Vespa, alzandosi dalla scrivania. Il suo posto non é più lì. L’uomo che vendeva miracoli ha cambiato merce, forse lavoro. E ha scelto la prima sortita televisiva della campagna elettorale per inscenare l’unico spettacolo a cui non ci aveva ancora abituati: la sua metamorfosi da outsider aggressivo a vecchio saggio della politica italiana. Da salvatore della Patria a presunto padre della medesima. E’ come se l’omino invadente che per tanti anni si era infilato in casa nostra per venderci il suo aspirapolvere, descrivendolo come l’ottava meraviglia del mondo, adesso si accontentasse di bussare discretamente, raccontandoci che sì, il suo funziona un po’ meglio di quello degli altri, ma che non dobbiamo caricarlo di troppe aspettative né farci troppe illusioni: la casa resterà sporca comunque, perché nessun aspirapolvere può togliere lo smog dalle pareti e i peli del gatto dagli angoli. La metamorfosi di Berlusconi comincia quando ammette di essere Superman solo per i suoi nipotini. Solleticato nell’ego dal comunista-milanista Sansonetti, che gli riconosce virtù taumaturgiche unicamente nel calcio, si allarga a elencare i propri meriti nell’edilizia, nell’editoria e nella tv. Ma arrivato alla politica ha il pudore di fermarsi. Di ammettere i suoi limiti. Dice che di fronte allo sconquasso mondiale in atto, con il petrolio alle stelle e il lavoro che emigra in Oriente, nessun governo, nemmeno il suo, potrà ridare la prosperità agli italiani in tempi brevi. Che certo, solo lui potrà togliere i rifiuti dai marciapiedi di Napoli. Ma che nessun governo, nemmeno il suo, potrà farlo tutto in una volta. E quando Vespa cerca di sfruttare la suggestione della scrivania per strapparli un impegno mirabolante e solenne, Berlusconi non va oltre la promessa di quel che non farà: l’aumento delle tasse. Ed è cosa diversa da dire: meno tasse per tutti. Nel nuovo patto che gli piacerebbe sottoscrivere con gli italiani non c’è più spazio per i sogni caramellati della pubblicità. Ridurre il costo dello Stato, certo, ma un po’ alla volta e grazie all’esperienza acquisita. Abbassare le imposte sugli straordinari e gli incentivi aziendali per premiare gli sgobboni. E aumentare lo stipendio ai lavoratori dipendenti, che ne hanno bisogno più degli autonomi: detto dal santo patrono delle partite Iva, equivale a un’autentica controrivoluzione. Con un transfert che affascinerà gli psicologi, Berlusconi trasforma Veltroni in uno specchio che riflette il suo passato. E’ il se stesso di un tempo che critica, quando dice che il rivale ha bisogno di fare discorsi onirici per nascondere il vuoto di proposte concrete e che la sinistra fa promesse impossibili da mantenere. Mentre lui, Silvio, l’uomo dei sogni e della crociata anticomunista, assicura cinque anni di governo pragmatico e senza ideologie. Si fa forza di ciò che aveva sempre irriso: la sua esperienza di politico, maturata nei cinque anni trascorsi a Palazzo Chigi, che gli permetterà di ridurre al minimo la percentuale di errori. Se Walter gioca a fare Obama, Berlusconi si sente Hillary: l’usato sicuro. Qualcuno penserà che stia recitando l’immagine dello statista moderato e responsabile alla Kohl. Ma vera o falsa che sia, è comunque la rappresentazione di sé che ha deciso di dare in questa campagna. Ed è una mossa sorprendente e imprevedibile, tanto che qualcuno la addebiterà a uno sbalzo di umore o di pressione. Ai nostalgici del cumenda brianzolo, non resta che aggrapparsi agli squarci del berlusconismo d’antan. Quando rintuzza le profferte di Rambo Stallone, che lo vorrebbe presidente degli Stati Uniti, dicendo che gli costa già abbastanza fatica occuparsi dello 0,6% delle terre emerse (chi, se non lui, poteva definire l’Italia così?). Quando nomina Zaccagnini e invece intendeva Martinazzoli, tanto tutti e due erano democristiani tristi e pieni di zeta. Quando parla della madre chiamandola la mia mammina. Quando sostiene che il calo dei consumi dipende dalla lotta all’evasione fiscale, che avrebbe messo paura agli italiani, togliendo loro la voglia di spendere. Quando racconta per la terza volta in una settimana la storiella del ristoratore italoamericano di New York che per colpa dei servizi televisivi sulla spazzatura di Napoli è costretto a mostrare le sue cucine ai clienti.Ma la Metamorfosi prevale. Il Berlusconi demagogo mai avrebbe detto che la colpa dei partitini è degli italiani che li votano. E mai avrebbe attaccato frontalmente le minoranze che bloccano le maggioranze, come nel caso dei termovalorizzatori e della Tav. Se si aggiunge che ha parlato male dei magistrati una volta sola, in un inciso, che ha fatto gli auguri a Veltroni e i complimenti a Bertinotti, e che ha inneggiato alla libertà di stampa, definendo inevitabili e legittime le critiche che verranno fatte al suo governo, perché la situazione economica è quella che è. Ecco, se uno mette in fila tutte queste suggestioni, diventa naturale immaginare che Berlusconi si sia ricordato della profezia di Montanelli sugli italiani che, dopo averlo provato una volta, si sarebbero vaccinati e non l’avrebbero votato più. Vaccinati contro il vecchio Silvio. Perciò lui si è fatto nuovo. Silvio 2, come Rambo, ma senza vendetta. 13/2/2008 (7:12) - IL PERSONAGGIO Fonte:http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200802articoli/30085girata.asp
Ma, ricordate che il lupo perde il pelo (non in questo caso) ma non il vizio. Francesca
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