Mario Avati
Oggi il presidente greco consegnerà una onorificenza ai rappresentanti di Italia e Spagna per l'impegno contro le deportazioni degli ebrei In questi giorni dedicati alla memoria di quell'immane tragedia che fu l'Olocausto di sei milioni di ebrei, un fiore e un pensiero vanno a Salonicco, che pagò alla barbarie il prezzo più alto. Gli ebrei, prima delle deportazioni del 1943, nella città greca erano 55 mila, praticamente la metà dell'intera popolazione. Ne tornarono meno di duemila. Quella di Salonicco è una delle pagine più atroci della lunga notte dell'umanità, quando la coscienza del mondo, che pur sapeva o sospettava quanto stava accadendo nei lager (lo ha confermato a Gerusalemme, recentemente, il presidente George W. Bush, dichiarando che gli americani commisero un errore a non bombardare Auschwitz), scelse il silenzio o una pilatesca prudenza. Ma non tutti, in quegli anni, decisero di tacere. Oggi, nel teatro più grande di Atene, il Megaro Musiki, alla presenza del capo dello stato Karolos Papulias e del ministro degli Esteri Dora Bakoyanni, le Comunità ebraiche greche consegneranno una particolare onorificenza ai rappresentanti dei governi di Italia e Spagna. Motivando la decisione con il caldo ringraziamento nei confronti di quanto funzionari dei due Paesi (il nostro era fascista, la Spagna franchista) fecero, in quel drammatico 1943, per salvare la vita degli ebrei in Grecia. L'idea è venuta alle Comunità da un libro fuori commercio, Ebrei di Salonicco-1943 , i documenti dell'umanità italiana, quasi una strenna natalizia di qualità, edito dalla nostra ambasciata ad Atene, che ho avuto l'onore di curare assieme ad Alessandra Coppola e a Iannis Chrisafis. Libro seguito da un analogo volume preparato dagli spagnoli. Senza pretese saggistiche, ci siamo limitati a pubblicare una parte dei documenti ministeriali ufficiali raccolti dallo studioso Daniel Carpi, recentemente scomparso a Tel Aviv, e in particolare quelli che riguardavano l'opera meritoria di un quasi sconosciuto eroe italiano, il console generale a Salonicco Guelfo Zamboni. Con coraggio, puntiglio e pignoleria, utilizzando magistralmente i cavilli della burocrazia e aggirando le diffidenze di chi aveva voluto le leggi razziali, Zamboni riuscì a salvare quasi 300 ebrei. Obiettivo del libro, che le Comunità ebraiche hanno scelto come guida per celebrare l'annuale ricorrenza della memoria, è quindi di far conoscere una nobile vicenda, che altrimenti sarebbe rimasta sepolta in qualche archivio, fra i tanti fatti dimenticati della storia. Ne ha riconosciuto il valore il presidente greco Papulias, l'hanno apprezzato tutti i nostri leader politici. Israele, nel 1992, ha consegnato a Zamboni, che aveva 95 anni, il certificato di «Giusto delle nazioni», con la medaglia e un albero che porta il suo nome piantato nei giardini dello Yad Vashem di Gerusalemme. Le scrupolose indagini, prima del conferimento dell'onorificenza, sono durate decenni, come si conviene a un serio Paese che non può certo essere accusato di superficialità. E il riconoscimento è stato solennemente reiterato nel 2002 dall'ambasciatore israeliano a Roma Ehud Gol, che è andato a scoprire un cippo in onore dell'eroe italiano a Santa Sofia (Forlì), dove Zamboni era nato ed è sepolto. Per Israele, quindi, il console italiano di Salonicco è un «Giusto» e un «Eroe». L'Italia lo ha scoperto tardivamente, come fece con Giorgio Perlasca. È la dimostrazione di quanto sia importante far conoscere questi capitoli sconosciuti, o forse rimossi. Ed è assai significativo che ad esaltarne il valore siano proprio le Comunità ebraiche, che rappresentano chi ha subito la barbarie di odiose persecuzioni. A dirci che la verità è quasi sempre rivoluzionaria, c'è l'esempio dello stesso Zamboni, che ai parenti non raccontò mai ciò che aveva fatto in quegli anni. E quando gliene chiedevano conto, come ci ha raccontato Gigi Zazzeri, uno dei pronipoti, la schiva risposta era sempre la stessa: «Ho fatto soltanto il mio dovere». Il dovere di saper ascoltare la propria coscienza. Nell'Italia di ieri e in quella di oggi, non è forse un esempio da seguire? Antonio Ferrari 04 febbraio 2008 Fonte: http://www.corriere.it/spettacoli/08_febbraio_04/ebrei_salonicco_zamboni_dc07bdb0-d2f2-11dc-8916-0003ba99c667.shtml
Oggi il presidente greco consegnerà una onorificenza ai rappresentanti di Italia e Spagna per l'impegno contro le deportazioni degli ebrei In questi giorni dedicati alla memoria di quell'immane tragedia che fu l'Olocausto di sei milioni di ebrei, un fiore e un pensiero vanno a Salonicco, che pagò alla barbarie il prezzo più alto. Gli ebrei, prima delle deportazioni del 1943, nella città greca erano 55 mila, praticamente la metà dell'intera popolazione. Ne tornarono meno di duemila. Quella di Salonicco è una delle pagine più atroci della lunga notte dell'umanità, quando la coscienza del mondo, che pur sapeva o sospettava quanto stava accadendo nei lager (lo ha confermato a Gerusalemme, recentemente, il presidente George W. Bush, dichiarando che gli americani commisero un errore a non bombardare Auschwitz), scelse il silenzio o una pilatesca prudenza. Ma non tutti, in quegli anni, decisero di tacere. Oggi, nel teatro più grande di Atene, il Megaro Musiki, alla presenza del capo dello stato Karolos Papulias e del ministro degli Esteri Dora Bakoyanni, le Comunità ebraiche greche consegneranno una particolare onorificenza ai rappresentanti dei governi di Italia e Spagna. Motivando la decisione con il caldo ringraziamento nei confronti di quanto funzionari dei due Paesi (il nostro era fascista, la Spagna franchista) fecero, in quel drammatico 1943, per salvare la vita degli ebrei in Grecia. L'idea è venuta alle Comunità da un libro fuori commercio, Ebrei di Salonicco-1943 , i documenti dell'umanità italiana, quasi una strenna natalizia di qualità, edito dalla nostra ambasciata ad Atene, che ho avuto l'onore di curare assieme ad Alessandra Coppola e a Iannis Chrisafis. Libro seguito da un analogo volume preparato dagli spagnoli. Senza pretese saggistiche, ci siamo limitati a pubblicare una parte dei documenti ministeriali ufficiali raccolti dallo studioso Daniel Carpi, recentemente scomparso a Tel Aviv, e in particolare quelli che riguardavano l'opera meritoria di un quasi sconosciuto eroe italiano, il console generale a Salonicco Guelfo Zamboni. Con coraggio, puntiglio e pignoleria, utilizzando magistralmente i cavilli della burocrazia e aggirando le diffidenze di chi aveva voluto le leggi razziali, Zamboni riuscì a salvare quasi 300 ebrei. Obiettivo del libro, che le Comunità ebraiche hanno scelto come guida per celebrare l'annuale ricorrenza della memoria, è quindi di far conoscere una nobile vicenda, che altrimenti sarebbe rimasta sepolta in qualche archivio, fra i tanti fatti dimenticati della storia. Ne ha riconosciuto il valore il presidente greco Papulias, l'hanno apprezzato tutti i nostri leader politici. Israele, nel 1992, ha consegnato a Zamboni, che aveva 95 anni, il certificato di «Giusto delle nazioni», con la medaglia e un albero che porta il suo nome piantato nei giardini dello Yad Vashem di Gerusalemme. Le scrupolose indagini, prima del conferimento dell'onorificenza, sono durate decenni, come si conviene a un serio Paese che non può certo essere accusato di superficialità. E il riconoscimento è stato solennemente reiterato nel 2002 dall'ambasciatore israeliano a Roma Ehud Gol, che è andato a scoprire un cippo in onore dell'eroe italiano a Santa Sofia (Forlì), dove Zamboni era nato ed è sepolto. Per Israele, quindi, il console italiano di Salonicco è un «Giusto» e un «Eroe». L'Italia lo ha scoperto tardivamente, come fece con Giorgio Perlasca. È la dimostrazione di quanto sia importante far conoscere questi capitoli sconosciuti, o forse rimossi. Ed è assai significativo che ad esaltarne il valore siano proprio le Comunità ebraiche, che rappresentano chi ha subito la barbarie di odiose persecuzioni. A dirci che la verità è quasi sempre rivoluzionaria, c'è l'esempio dello stesso Zamboni, che ai parenti non raccontò mai ciò che aveva fatto in quegli anni. E quando gliene chiedevano conto, come ci ha raccontato Gigi Zazzeri, uno dei pronipoti, la schiva risposta era sempre la stessa: «Ho fatto soltanto il mio dovere». Il dovere di saper ascoltare la propria coscienza. Nell'Italia di ieri e in quella di oggi, non è forse un esempio da seguire? Antonio Ferrari 04 febbraio 2008 Fonte: http://www.corriere.it/spettacoli/08_febbraio_04/ebrei_salonicco_zamboni_dc07bdb0-d2f2-11dc-8916-0003ba99c667.shtml
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