domenica 27 aprile 2008

Claudine Guérin de Tencin

Jesus Apellaniz« Da come ci ha trattate, è evidente che Dio è un uomo »
(Madame de Tencin)
Claudine Alexandrine Guérin de Tencin baronessa de Saint-Martin-de-Ré (Grenoble, 27 aprile 1682Parigi, 8 dicembre 1749) è stata una nobildonna e scrittrice francese, madre di D'Alembert. Nacque a Grenoble in una famiglia di piccola e recente nobiltà: il trisavolo, Pierre Guérin, era stato un venditore ambulante, poi fece l'orefice a Romans. Il padre, Antoine Guérin, giudice a Romans, fu fatto signore di Tencin da Enrico III per aver protetto la città durante le guerre di religione e divenne consigliere del Parlamento e poi primo presidente del Senato di Chambéry. La madre, Louise de Buffévent, proveniva da una famiglia della provincia di Vienne e vantava un antenato, Antoine de Buffévent, che aveva seguito san Luigi alle crociate. Seconda di cinque figli, secondo il costume dell'epoca fu collocata a otto anni nel vicino monastero reale di Montfleury, una ricca abbazia nella quale la regola di san Domenico era ormai notevolmente attenuata. La vita monacale le ripugnava e solo per costrizione prese i voti il 25 novembre 1698 protestando tuttavia, già il giorno dopo e, secondo tutte le regole, davanti a un notaio, per il sopruso di cui ella era stata vittima. Protesta che "suor Augustine" rinnoverà più volte ancora negli anni finché, dopo la morte del padre nel 1705 e vinte le resistenze e l'ipocrisia della madre, poté lasciare Montfleury nel 1708 per trovare rifugio, l'anno dopo, curiosamente in un altro convento, quello di Sainte-Claire ad Annonay, la cui badessa, Madame de Vivarais, era sorella di un suo cognato, Augustin de Ferriol d'Argental. Lasciare la vita monacale ed essere accolta in un convento appare strano oggi come lo fu allora: le cattive lingue sostennero che Claudine vi trovò un rifugio ideale per partorire due gemelli il cui padre sarebbe stato Arthur Dillon, luogotenente generale del maresciallo de Médavy. Ma erano calunnie: così almeno stabilì l'inchiesta che riconobbe la sua innocenza sciogliendola dai voti religiosi il 5 novembre 1712 e riconoscendo la violenza subita nel momento di prendere il velo. Claudine non attese la sua riduzione allo stato laicale per far ritorno a Parigi, accompagnata da Madame de Vivarais, già alla fine del 1711. Si stabilì nel convento di Saint-Chaumont e poi, per motivi di salute, in quello delle domenicane della Croix. Annullati i voti, finì per abitare con la sorella, la contessa d'Argental che ospitava già la celebre Mlle Aïssé. Qui, negli anni che seguirono, seppe conquistare gli ospiti del salotto della sorella con la vivacità del suo spirito, l'umorismo e la capacità di adattamento, sorprendente in chi, come lei, aveva così poca esperienza della mondanità. Recuperò ugualmente il tempo perduto, dal momento che nel giugno 1717, rimasta incinta di due mesi a seguito della relazione con il bel luogotenente d'artiglieria Louis-Camus Destouches, e non desiderando che la notizia si divulgasse, si trasferì discretamente, con l'aiuto del fratello, in un appartamento di via Saint-Honoré, sotto il convento della Conception, di fronte a quello dell'Assomption. Qui nacque un figlio – il futuro, celebre d'Alembert – abbandonato il giorno dopo, non si sa se spontaneamente o per forza, il 17 novembre 1717, dinanzi alla chiesa parigina di Saint-Jean-le-Rond. Non ci fu matrimonio per l'opposizione della famiglia dell'ufficiale che tuttavia si preoccupò poi di far educare il bambino, allevato dalla nutrice madame Rousseau, mentre Claudine lo vedrà una volta sola, e quasi di sfuggita, nel 1724. Claudine, custodito con cura il segreto della sua maternità, poté aprire il suo salotto che ella, fino al 1733, consacrò essenzialmente alla politica. Da quel momento, il suo scopo sembrò quello di sfidare gli uomini sul loro stesso terreno, forse desiderando di prendersi una rivalsa per i ventidue anni passati forzatamente in convento. Divenuta, a dire di Saint-Simon, pubblica amante del primo ministro, il cardinale Guillaume Dubois, cominciò con l'aiuto di quest'ultimo a favorire la carriera ecclesiastica e politica del fratello Pierre (1679-1758), uomo senza carattere, per il quale ella fece officio di spirito virile; in cambio, ricompensò l'amante cardinale divenendo per lui una preziosa fonte d'informazioni politiche, servendosi di quei suoi amici che avevano accesso alle alte sfere del potere. Il denaro occupò un posto fondamentale nella vita di Madame de Tencin, che utilizzò molti mezzi per arricchirsi: il 28 novembre 1719 aprì un banco di sconto in via Quincampoix e creò una società in accomandita allo scopo di speculare sulle azioni, riuscendo a triplicare il suo capitale iniziale – più di 5 milioni di euro attuali – con il beneficio dei consigli del finanziere John Law e del proprio amante Guillaume Dubois. Non esitò nemmeno a mettersi in combutta con loschi finanzieri, come dimostra la sua corrispondenza; ma, come scrive il Masson, diede la caccia all'oro per poterla dare al potere e raggiunse entrambi nell'interesse di quel suo mediocre fratello nel quale aveva posto le sue ambiziose speranze. Volle dominare, ma per procura, a causa dell'ingiustizia del tempo che metteva le donne in un ruolo di « animale domestico »: fu quella la volontà della « bella e scellerata canonica Tencin », secondo l'espressione di Diderot. E per ottenere lo scopo, si finse bigotta, lei che lo era così poco. « Non rifiutare mai un'offerta d'amicizia: se nove volte su dieci non ti procurerà nulla, ti tornerà utile la decima » Prese infatti le parti del fratello vescovo nella disputa che lo oppose, nel Concilio d'Embrun (1727), al vecchio vescovo giansenista di Senez, Jean Soanen: nell'occasione Madame de Tencin trasformò il suo salotto in un centro di agitazione ultramontano. Così, ogni mezzo fu impiegato nella difesa del fratello e di Roma: Fontenelle e Houdar de la Motte dovettero comporre la gran parte dei discorsi del vescovo Tencin e lei stessa diffondeva ogni settimana bollettini tendenziosi sui lavori del Concilio, che alla fine condannò Soanen. Però Madame non ottenne vantaggi: il cardinale Fleury, stanco di doverla far sorvegliare giorno e notte, si risolse il 1° giugno 1730 a esiliarla, per il bene dello Stato, il più lontano possibile da Parigi. Vi poté tuttavia ritornare dopo quattro mesi passati ad Ablon, in casa della sorella. In realtà ella, dopo il ritorno dall'esilio nel 1730 mise la sordina ai suoi intrighi religiosi, politici e finanziari, ma non cessò di occuparsene. Il suo maggior progetto era di fare del fratello un cardinale, ma per ottenere lo scopo occorreva l'assenso del re. Non potendo contattare direttamente Luigi XV – che non stima affatto, scrivendo di lui che « ciò che succede nel suo regno sembra non interessarlo » - lo farà indirettamente, attraverso le migliori intermediarie, le sue amanti che dovranno innalzare al cielo le lodi al fratello tanto amato. Così, grazie all'aiuto della duchessa de Châteauroux. Pierre Guérin de Tencin diviene cardinale arcivescovo di Lione nel 1740 e ministro di Stato due anni dopo. Madame de Tencin si trova ora al massimo del prestigio e arriva poco a poco a far dimenticare quel che i suoi inizi ebbero di scandaloso, procurandosi amicizie celebri ed edificanti, come quella del papa Benedetto XIV. La frequentazione dei diplomatici Lord Bolingbroke e Matthew Prior l'avrebbe introdotta nei risvolti della politica estera mentre quella di consiglieri del Parlamento, come Charles-Joseph de La Fresnaye (nome che ricorda quello di un detestabile personaggio dei Malheurs de l'amour), un banchiere legato alla Curia romana e avvocato del Gran Consiglio, fu utile a lei e al fratello nelle speculazioni finanziarie. Dovette però abbandonare questo spiacevole amante che, uso al gioco d'azzardo e all'aggiotaggio, non riusciva più a restituirle i vari prestiti che Claudine gli aveva concesso, e oltretutto si permetteva di spargere calunnie sul suo conto. Ancora una volta, Madame de Tencin mancò di prudenza: La Fresnaye, perduti gran parte dei propri beni, ebbe il cattivo gusto di suicidarsi nell'anticamera del salotto di Claudine, il 6 aprile 1726, lasciando scritto nel testamento di considerarla responsabile della sua morte.Quest'episodio le costò tre mesi di Bastiglia, dove ebbe per vicino di cella il detestato Voltaire, uscendone comunque legalmente arricchita delle ultime spoglie dell'antico amante. « Il maggior errore della gente di spirito è di non credere mai abbastanza che il mondo sia stupido » Intanto riservava il suo tempo migliore al salotto letterario. I maggiori scrittori dell'epoca, raccolti dal salotto della marchesa de Lambert nel 1733, vi si affollarono. Vi si vide, tra gli altri, Fontenelle, l'amico di sempre, Marivaux, che dovette a lei il suo seggio all'Académie (1742) e il ristoro costante delle sue finanze, l'abate Prévost, Duclos e più tardi Marmontel, Helvétius, Marie-Thérèse Geoffrin e Montesquieu, il suo « piccolo Romano », ch'ella aiuterà nella pubblicazione del De l'esprit des lois (1749), dopo la pessima edizione ginevrina del 1748. Scrittori – non però Voltaire, che la Tencin detestava e chiamava « il geometra » – scienziati, diplomatici, finanzieri, magistrati ed ecclesiastici, di diversa nazionalità, diedero lustro al suo salotto anche fuori dei confini della Francia. Il martedì, riservato alla letteratura, in un'atmosfera di grande famigliarità, i suoi amici scrittori – da lei chiamati affettuosamente «mes bêtes» – presentavano le loro ultime produzioni o assistevano alla lettura di opere di giovani esordienti; spesso si abbandonavano al piacere della conversazione e al loro argomento preferito, la metafisica del sentimento. Secondo Delandine, sarebbero stati loro a far tornare di moda quei problemi di casistica sentimentale che, per la loro stessa astrazione, permettono le opinioni più sottili e paradossali. Del resto, nessuno più della padrona di casa eccelleva in questo genere di spirito, amando soprattutto le massime e le frasi sentenziose di cui ha disseminato i suoi romanzi che danno sovente l'impressione di essere il prolungamento romanzato di reali conversazioni salottiere; così, nei Malheurs de l'amour (Disgrazie dell'amore), si legge « Quando non si analizzano i propri sentimenti, non ci si dà il tormento di combatterli », o « Il cuore ci procura tutti gli errori di cui abbiamo bisogno » oppure « Non si dice mai chiaramente che non siamo amati » o anche « La verità sta quasi alla pari con l'innocenza ». La fortuna è notoriamente capricciosa: infatti, dopo la morte del cardinale Fleury (1743) e della duchessa de Châteauroux nel 1744, Alexandrine perdette ogni influenza a corte. Jean Sareil ci informa che da allora il suo nome scomparve a poco a poco dall'attualità politica e nei circoli letterari. È una donna delusa – non riuscì a far nominare primo ministro il fratello, alla morte di Fleury - quella che torna alla sua ménagerie, il serraglio, come chiama il suo salotto, ma senza trascurare i suoi affari, come mostra il fatto che non esitò – a forza di processi – a rovinare due orfani pur di aggiudicarsi la baronìa dell'Ile de Ré. Ma la sua energia è affievolita dalla salute precaria e dall'obesità, e non esce più dal suo appartamento al numero 75 di rue Vivienne. Nel 1746 è afflitta da una seria malattia di fegato, la vista indebolita la obbliga a dettare i suoi scritti. In queste condizioni conclude l'ultimo romanzo, Les Malheurs de l'amour, pubblicato nel 1747, che mette in scena il personaggio della vecchia Pauline, in ritiro nell'abbazia Saint-Antoine la quale, perduto l'amato, decide di prendere la penna per evadere da una realtà divenuta sgradevole. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Claudine_Gu%C3%A9rin_de_Tencin

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