domenica 9 novembre 2008

Megafono

Kirchner/FranziFenomenologia e storia di uno strumento-simbolo
Megafono, dai teatri dell'antica Grecia alle manifestazioni dei giorni nostri
di VALERIO GUALERZI
Acquistare l'originale Rcf Mg80 visto in piazza anche negli anni Settanta: 115 euro. Comprare una volgare imitazione da uno dei tanti ambulanti di Campo dè Fiori: venti euro. Gridarci dentro "la vostra crisi non la paghiamo": non ha prezzo. In fondo, parafrasando il fortunato spot pubblicitario, è proprio questo uno dei segreti della longevità del megafono, gioiello della tecnologia rimasto solidamente al centro di tutte le rivolte studentesche malgrado dal '68 a oggi la comunicazione abbia fatto un fantascientifico salto dal ciclostile ai social network. "Il bisogno e il piacere di sentire la propria voce amplificata accompagna l'umanità da millenni, il primo megafono è stato probabilmente una grande conchiglia forata", spiega Vittorio Marchis, docente di Storia della tecnologia al Politecnico di Torino. A far compiere un ulteriore balzo sono state nel Sesto secolo avanti Cristo le compagnie teatrali dell'antica Grecia, che utilizzavano imbuti inseriti all'interno delle maschere di scena per farsi sentire anche dalle ultime file. Nel Diciassettesimo secolo sarà il gesuita tedesco Athanasius Kircher, tipica figura di erudito universale con interessi che spaziavano dalla filosofia alla meccanica, ad abbozzare qualcosa di vagamente simile all'apparecchio che conosciamo oggi. "Ma il padre della versione odierna - dice Marchis - è senz'altro Thomas Alva Edison, padre anche del fonografo". Lo sbocco ideale per una versione commerciale del prodotto era la marineria, dove è fondamentale far arrivare gli ordini da un capo all'altro delle navi sovrastando il rumore delle onde e del vento. Spulciando negli archivi dell'ufficio americano dei brevetti si scopre ancora che a depositare il disegno di un megafono sostanzialmente identico nella forma a quelli che ancora oggi scandiscono le parole d'ordine delle manifestazioni di piazza è stato nel luglio del 1951 un tale Shitetsu Kamimori, dimenticato inventore giapponese che lo registrò con la definizione di electric megaphone.
Da allora il megafono è rimasto pressoché identico e anche l'azienda leader che li produce in Italia, la Rcf di Reggio Emilia, continua a vendere lo stesso modello Mg80 da oltre trent'anni piazzando sul mercato italiano un migliaio di pezzi l'anno, soprattutto a forze dell'ordine, vigili del fuoco, marina mercantile e protezione civile. Un bel record se si pensa a trovate meno fortunate divenute obsolete nel giro di poco tempo. "Il megafono è composto da una cassa acustica, da una membrana che vibra e da una forma a imbuto che protegge il suono dal vento e orienta le onde sonore; difficile immaginare cosa potrebbe funzionare meglio", ammette Paco Lanciano, fisico e divulgatore scientifico che siamo abituati ad apprezzare al fianco di Piero Angela. "Oggi - sottolinea - viviamo con molti oggetti cordless, senza fili, ma rispetto ad altri il megafono è stato uno dei primi, forse il primo insieme alla valigetta mangiadischi. Però mentre questa è stata presto superata e sostituita infine dall'iPod, la genialità del megafono è che l'invenzione iniziale è stata definitiva, non ha avuto bisogno di evoluzione, un po' come è avvenuto con i binari del treno, rimasti identici (a parte le traversine) dai tempi della locomotiva a vapore". E pensare che dare a qualcuno del megafono non è esattamente un complimento.
(9 novembre 2008) da Repubblica

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