domenica 28 dicembre 2008

Povere donne

Helleu28/12/2008 (9:10)
Ragazze disperate tornano vergini
È boom in Turchia
TIZIANA PREZZO
"La sensazione che ho io è che, soprattutto qui a Istanbul, molte trentenni ricorrano all'imenoplasia come le quarantenni al primo lifting». Il commento di Neslihan, un’avvocatessa di 33 anni, spezza ancora una volta il silenzio nel soggiorno dove, insieme ad altre due amiche, sta guardando il dvd di «Caramel», delizioso film libanese tutto al femminile. Tra un bicchiere di tè e un boccone di borek la pellicola è giunta al punto in cui una delle protagoniste decide di «tornare vergine» all'insaputa del futuro sposo. Nel gioco di analisi delle somiglianze e differenze tra il mondo femminile turco e quello arabo, il tema della verginità anima il dibattito, in quanto questione delicata e al tempo stesso ricca di sfaccettature. «Una cosa è chiara: l'Islam c'entra poco. Quello che ci frega veramente è che apparteniamo a una società maschilista, che condiziona psicologicamente anche le più laiche tra di noi», aggiunge Ozge, 26 anni, insegnante. In Turchia è indubbio che la maggior parte delle ragazze che si sottopongono a questa operazione lo fa perché sente di non avere scelta: ha il terrore di essere lasciata dal marito dopo la prima notte di nozze. Specie nell'Est del Paese, dove la perdita della purezza da parte di una ragazza non sposata equivale alla perdita del «Namus», l’onore, per tutta la sua famiglia. Le pagine dei giornali turchi raccontano spesso il dramma di ragazze ripudiate o ammazzate dai familiari perché sospettate di non essere più illibate, di studentesse allontanate dalla scuola perché vittime di un pettegolezzo, costrette all'umiliazione di un test della verginità imposto da un padre-padrone. Secondo una recente ricerca, negli ultimi cinque anni ci sono stati mille delitti d'onore. Racconta la ginecologa Deniz Cankat: «So che, per proteggere l'incolumità delle ragazze, parecchi colleghi hanno mentito, anche se questa scelta può essere considerata non etica». Il tema dell'eticità di ginecologi e chirurghi è un argomento quanto mai attuale. Sul quotidiano «Hurriyet» è apparso un articolo nel quale ci si chiede se i chirurghi che effettuano la ricostruire dell'imene si comportino in maniera corretta. C'è infatti chi sostiene che restituire artificialmente la verginità equivale a una menzogna, un inganno, indegno di un medico. Altri invece ritengono che non spetti a un medico giudicare le scelte di una paziente e che il comportamento immorale è quello di molti padri, fratelli e fidanzati. C'è anche un altro motivo per cui il dibattito è così animato: negli ultimi anni è aumentato il numero delle cliniche che offrono questo servizio. Sono per lo più centri estetici che, oltre a offrire lifting e liposuzioni, propongono anche operazioni che riguardano l'apparato genitale, come l'imenoplasia o il ringiovanimento della vagina. Insieme a tutte le strutture che offrono questi servizi (gli ospedali statali effettuano l'imenoplasia solo in caso di stupro) crescono però anche gli obiettori di coscienza. Diversi medici hanno dichiarato di non essere disponibili per questo tipo di intervento per motivi religiosi. Spesso l'operazione, che si effettua in day hospital e dura mediamente tra i 10 e i 30 minuti, è effettuata dallo stesso ginecologo. Il prezzo può raggiungere i tremila euro. Una cifra che non è sempre alla portata di tutte le ragazze. «Ho un'amica di 34 anni che mi ha candidamente detto di essere tornata vergine per sentirsi ancora una ventenne - racconta ancora Neslihan -. Ha una sua indipendenza economica e quindi non rientra certo nella casistica delle donne che senza un uomo non saprebbero come sopravvivere. Il condizionamento è piuttosto psicologico. Rispetto all'Europa, qui ci si sposa prima: non essere sposate entro i trent'anni crea un disagio interiore. Tornare vergini è anche una sorta di viaggio indietro nel tempo». Molte attiviste impegnate nelle Ong concordano con questa posizione. «Al di là delle questioni più gravi, come i delitti d'onore e i test della verginità, c'è un altro nemico invisibile da combattere - spiega la femminista Derya Demirler. - E' quel maschilismo ipocrita che non si dichiara apertamente, ma che è capace di condizionare le menti anche delle più libere tra di noi». La Stampa

Nessun commento: