domenica 21 dicembre 2008

Re Silvio

Diaz OlanoIL PERSONAGGIO
L'ossessione del Cavaliere tra statue, cipressi e fontane
di FILIPPO CECCARELLI
E' una monarchia presidenziale, prima che una Repubblica, quella che Silvio Berlusconi ha delineato al termine dell'interminabile conferenza stampa di fine anno. Un principato elettivo, ha lasciato capire l'aspirante unico sventolando un paio di volte il 72 per cento dei consensi di cui già disporrebbe O meglio, considerata la necessaria unanimità che pure ha voluto evocare, si tratterebbe di una signoria plebiscitaria: questo è l'esito dichiarato del prossimo quadriennio che del resto era ben inscritto, visioni e simboli, nella maestosa ambientazione di villa Madama, fra statue, cipressi, fontane e amorini, scenografia affidata a Raffaello Sanzio, Sangallo, Giulio Romano e Baldassarre Peruzzi, oltre s'intende al fidatissimo Gasparotti, regista d'ogni prestazione scenica del Cavaliere. Certo faceva impressione veder questo imminente (forse) sovrano presidenziale, collocato comunque in quello scenario di magnificenza; e non per accarezzare profezie o indulgere a vetero catastrofismi penitenziali, ma un po' veniva anche da pensare al vecchio Giuseppe Dossetti, il professorino democristiano della Costituente poi divenuto monaco, che nel 1994 fece a tempo a prevedere, "verificandosi certe condizioni oggettive e attraverso una manipolazione mediatica dell'opinione", come il berlusconismo, che traeva origine da "una grande casa economica finanziaria fattasi Signoria politica", ecco, il berlusconismo si sarebbe potuto evolvere per l'appunto "in un principato più o meno illuminato, con coreografia medicea" aggiungeva preziosamente don Pippo Dossetti.
E il fatto, guarda caso, è che quel gioiello rinascimentale di villa Madama fu commissionato da Giulio dè Medici, il futuro papa Clemente VII. Come un papa, comunque, Berlusconi sembrava felice. A proposito: i rapporti con la Santa Sede non sono mai stati migliori. Anche con i giornalisti, che pure ha paternalisticamente designati come "birichini", non va male. Nessuno scontro, nessuno sgarbo, il buffet era rimarchevole, e lì si sono viste un sacco di belle ragazze che giornaliste in verità non erano, o almeno non sembravano per audace eleganza, ma di sicuro facevano effetto, e poi lui era contento. Nel potere è sempre successo. E comunque. L'Italia ha riacquistato il suo prestigio nel mondo. Lo Stato, vedi Napoli, è tornato a essere e a fare lo Stato. L'Alitalia eccola qui: salva e tutta nazionale - giacché l'Air France avrebbe dirottato i turisti sui castelli della Loira anziché sulle nostre città d'arte. I problemi energetici si risolveranno con le centrali nucleari. Le infrastrutture - non più dette "grandi opere" - finalmente si faranno. La giustizia verrà riformata, sia quella civile che quella penale; l'evasione fiscale sarà combattuta, sta per partire una campagna; la pubblica amministrazione sarà digitalizzata - e anche questa è parso di averla già sentita. La formula in uso, nelle sue varie articolazioni: "Abbiamo avviato un grande lavoro". L'introduzione, che lo stesso presidente ha avuto il cuore di definire "prolissa", è durata tre quarti d'ora. Berlusconi ha parlato dietro un tavolo marrone chiaro e posticcio che decisamente, almeno dal vivo, stonava con il resto. Pure il tele-padellone grigiastro con il simbolo della Presidenza del Consiglio faceva a pugni con il tabernacolo d'avorio intarsiato e le sue figurine nude. Mentre sulla testa del Cavaliere gravava l'affresco di un gigante, ebbro e debitamente discinto, con mega-zufolo e clava. Senza farla troppo lunga, né troppo complicata, è stata la sagra dell'ottimismo necessitato. Tutto va bene, madama la marchesa. A dire il vero, in tutta onestà, non c'è politico, non c'è potente, non c'è presidente che in occasioni del genere non reciti questa parte. Ma Berlusconi, che viene dalla cultura della pubblicità, è meglio di chiunque altro. Quello che non va bene è sempre colpa di qualche altro (sinistra e ambientalisti); le difficoltà riguardano sempre il passato; le magagne sono sempre ereditarie. La crisi c'è, ma proprio per questo bisogna essere ottimisti, invece la tv a volte mette ansia, e allora è peggio. In questa indispensabile dissimulazione l'uomo si conferma un prodigio di maestria. Lo tradisce appena qualche segno, qualche gesto, qualche spia del linguaggio extra-verbale, il piede che batte il nervosismo, la mano dell'insincerità che s'infila nella tasca interna, tipo Napoleone. L'altro ieri ha raccontato ai dipendenti di Palazzo Chigi, con cui ha anche cantato, di aver appeso a un elicottero un pupazzo di Superman con la sua faccia di Superman. Ieri invece è apparso sobrio, misurato, al massimo intermittente, cioè ora benevolo e ora più freddo, ora larvatamente populista e ora istituzionale. Solo che Berlusconi è Berlusconi e quindi a volte esagera. Così ha spiegato che a fare quel mestiere lui non si "diverte", come diceva l'Avvocato Agnelli, ma lo fa "per spirito di sacrificio" - però mentre lo diceva si torceva le mani. Ha accennato al tema dei successori. Ha rivelato di sfuggita che con Veltroni, a suo tempo, volevano fare insieme la legge per le europee, con clausola ed eurodeputati nominati dall'alto. A proposito di questi ultimi, quelli davvero preparati, se n'è uscito con una sorprendente citazione virgiliana: "Apparent rari Nantes in gurgite vasto". A un certo punto gli è scappato: "In una precedente fase del nostro governo", e si è capito che era un plurale majestatis. Per il resto l'egolatria si è declinata su tutti i campi dell'attività di governo. Io, io, io, me, mi, eccetera. Ha candidamente ammesso che sarebbe felice di avere "un'opposizione, come si dice, di Sua Maestà". La monarchia presidenziale comunque la prescrive, e non è detto che Berlusconi prima o poi non la ottenga.
(21 dicembre 2008) Repubblica

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