mercoledì 3 dicembre 2008

Solo per amore

Lorenzo Lotto/Angelo dell'Annunciazione 1527Sulla bara di giovani e non, i colori della squadra amata
Fiori, ma anche sciarpe e magliette Il calcio conforta funerali e memoria
E a Genova protesta il monsignore: al cimitero sono più i simboli dei due club che quelli religiosi
MILANO — C’era rabbia e tensione, quel giorno a Torino, perché i fiori della ThyssenKrupp, la fabbrica dove sette operai avevano trovato la morte, non li voleva proprio nessuno. Ma la maglia di Alessandro Del Piero, sul feretro di Giuseppe Demasi, commosse anche il più irriducibile dei granata. Era un’altra storia, era un’altra città ma anche per Davide, quindicenne stroncato da uno spinello nell’hinterland milanese, hanno voluto la casacca del capitano della Juve. Per l’avvocato Donatello Zoboli, vittima di un incidente ferroviario, hanno raddoppiato: Del Piero e Paolo Di Canio, che a lui piacevano entrambi un bel po’. Perché il calcio è così.
Claudio Monetti aveva una tabaccheria a Torino ma tifava da sempre per il Verona. L’hanno ucciso a coltellate per rubargli qualche euro. Gli hanno messo una maglia gialloblù sul feretro mentre ancora si domandavano il perché. Per la tredicenne Pasma, che è stata portata via da una pirata della strada alla periferia di Roma, e per il coetaneo Nicolò, ucciso dalla caduta di un pioppo a causa di un nubifragio che si è abbattuto sulla capitale, nessuno ha avuto dubbi: il numero 10 di Francesco Totti. E a Vito, i cui sogni da diciassettenne si sono spezzati in una scuola maledetta, hanno messo quella di Nicola Legrottaglie, il campione che si è ritrovato dopo aver riscoperto la fede in Dio. È stato l’ultimo in ordine di tempo dei funerali dove si sono accese le luci delle telecamere.
Ma sono altri, tanti altri ancora, «i giorni di dolore» privati dove parenti e amici mettono accanto al defunto, giovane studente o stimato professionista, o appoggiano delicatamente sulla bara la maglia della squadra del cuore. Perché l’accompagni e, magari, lo protegga nell’ultimo viaggio. Ma non solo. A Genova, nel cimitero di Staglieno, sulle lapidi e sulle tombe ci sono maglie rossoblù e simboli blucerchiati. Tanto che monsignor Giuseppe Lanfranconi, rettore della chiesa, 86 anni, ha dovuto alzare la voce: «Ci sono più magliette della Sampdoria e del Genoa che simboli religiosi».
All’estero sono andati oltre. Per i tifosi dell’Amburgo è stata creata un’ala riservata del cimitero cittadino. Potranno riposare in pace in una bara con i colori sociali. Ne hanno fatto uno speciale a pochi chilometri da Buenos Aires, con le lapidi il marchio del club e la fontana con lo scudetto, per i sostenitori del Boca Juniors, solo per quelli doc.
Non voleva patenti Mario Appignani, il celebre «Cavallo Pazzo» delle incursioni sul palco di Sanremo. Il protagonista di invasioni solitarie sul prato dell’Olimpico espresse una volontà romantica che cozzava contro la burocrazia: «Seppellite il mio cuore in curva Sud». Dove batte appunto il cuore del tifo romanista. Dove, come in tutte le altre curve d’Italia, anche quelle delle serie minori, ogni domenica c’è un ricordo. «Sempre con noi», scrive al compagno di fede scomparso chi ha diviso chilometri di trasferte e un panino freddo all’autogrill. «Canta con noi da lassù », è l’ultimo saluto a chi ha lasciato un seggiolino libero in una curva piena. Perché ci sono vuoti che non si possono riempire. E, quando le sciarpe servono per asciugare le lacrime, anche i nemici dell’altra curva, quelli divisi da un odio che non sente ragioni, tacciono e si fermano in religioso silenzio. Come accadde per il commovente ultimo saluto a Gabriele Sandri.
Non si fermano, il più delle volte, gli automobilisti. Se lo facessero, potrebbero vedere ai bordi delle strade consolari o sui marciapiedi delle grandi metropoli piccoli altari a cielo aperto. Dove si è interrotta tragicamente una vita, la memoria resta. Una foto sorridente circondata da un muro di sciarpe. E una maglia di un giocatore. Quella indossata quando si aveva tutta la vita davanti. E, anche, dopo la morte.
Roberto Stracca 03 dicembre 2008 Corriere della Sera

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