domenica 1 marzo 2009

Sotto esame

Albert LynchIl team di Barack il pragmatico: basta personalismi, misuriamo i fattiGiudizi severi sul peso delle amicizie nella politica estera dell'Italia
Niente strappi su Russia e Iran Berlusconi all'esame degli Usa
dal nostro inviato MARIO CALABRESI
WASHINGTON - La fortuna di Silvio Berlusconi è che Barack Obama è un uomo pragmatico. Il problema di Silvio Berlusconi è che Barack Obama è un uomo pragmatico. Questa volta l'amicizia, le battute, le promesse mirabolanti non avranno nessun effetto, né in positivo né in negativo: a Washington misureranno il Cavaliere sulle cose che fa realmente e soprattutto sulla capacità di essere un partner responsabile che non esce dal coro e non mette le sue amicizie personali prima della solidarietà tra i partner occidentali. Oggi gli uomini dell'Amministrazione che accettano di parlare, in via confidenziale e riservata, raccontano come nei palazzi del potere americano nessuno abbia dimenticato le affermazioni di Berlusconi sull'"aggressione georgiana", la sua rottura della linea della Nato in favore dell'"amicizia fraterna" con Putin. Posizioni che l'altra amicizia fraterna, quella con George Bush, avevano poi fatto passare in secondo piano. Ma da Washington adesso sottolineano che fughe in avanti di questo tipo, nei confronti della Russia o dell'Iran, non saranno più tollerate. Ed è stato fatto notare che proprio l'ambasciatore Holbrooke, uomo di punta della diplomazia di Obama con cui si è incontrato giovedì scorso Franco Frattini, fu il primo a correre in Georgia durante l'invasione russa. Se si volesse stilare un elenco delle condizioni che il nuovo governo degli Stati Uniti chiede all'Italia di rispettare, per continuare ad essere un alleato affidabile e di primo piano, bisognerebbe partire da tre punti: il più sensibile è il rapporto con la Russia di Putin, poi c'è l'Afghanistan e infine l'Iran. In tutti e tre i casi si chiede a Berlusconi di non portare avanti politiche personali, ma di lavorare all'interno delle linee comuni, e si sottolinea come un maggiore impegno in termini di investimenti e soldati nelle aree di crisi è la carta migliore per dimostrare leadership.
Sono passate cinque settimane dall'insediamento della nuova Amministrazione democratica, un tempo sufficiente perché sulle due sponde dell'Atlantico ci si facesse un'idea chiara del futuro delle relazioni tra l'Italia e gli Stati Uniti. E a Washington, finalmente, si ottengono risposte quando si chiede un giudizio sul governo italiano. Per lungo tempo, soprattutto nella fase della transizione, nessuno voleva sbilanciarsi, dare giudizi o fare previsioni. La partenza era stata indiscutibilmente problematica: la battuta sull'abbronzatura non rientra nello stile "politicamente corretto" degli americani, ma sollecitati più volte gli uomini della cerchia stretta di Obama non avevano voluto commentare. David Axelrod, il guru del nuovo presidente, alzava gli occhi al cielo e faceva battute su quanto è bella l'Italia e su come gli manca una vacanza nel nostro "meraviglioso" Paese. Il portavoce Robert Gibbs spiegava invece che avevano deciso di non dire una sola parola su Berlusconi, e così è stato. Oggi invece si racconta che Obama pensa che non valga la pena di occuparsi di piccole cose, ma che si debba lavorare sulla base degli interessi nazionali e sulle convergenze internazionali. Obama non vuole dividere l'Europa come fece Bush, questa volta nessuno sarà messo in castigo come accadde con la Spagna di Zapatero: la situazione economica mondiale è grave, la guerra in Afghanistan in una fase difficilissima, così - si sottolinea - tutti saranno benvenuti al tavolo comune di lavoro e la nuova Casa Bianca cercherà di essere bipartisan nel mondo così come lo è a Washington, per trovare più alleati possibili. Ma al tavolo comune - si sottolinea - si accettano le decisioni comuni e si parla con una voce soltanto, e non esistono amicizie o rapporti personali che possano giustificare mosse indipendenti o strappi: non saranno accettate mediazioni improvvisate o linee autonome che possono creare fratture o addirittura rappresentare un pericolo. Questi concetti sono stati ripetuti questa settimana a Frattini, nei suoi colloqui con i massimi livelli della diplomazia americana, tanto che il ministro degli Esteri italiano, dopo aver annunciato l'apertura di un canale di mediazione con Teheran, si è affrettato a sottolineare come questo riguarda solo l'opportunità di stabilizzare il lungo confine tra l'Iran e l'Afghanistan e verrà fatto in vista di una conferenza regionale che si terrà a Trieste a giugno, e non ha nulla a che fare con il dossier nucleare. Subito dopo l'insediamento di Obama la nostra diplomazia era preoccupata, cosciente del fatto che a Washington, negli anni di Berlusconi, siamo stati tra i migliori amici dei repubblicani. Non è un mistero che l'ambasciatore Castellaneta fosse molto vicino a Condolezza Rice, tanto da organizzarle una serata di addio al potere, così dopo la vittoria dei democratici si è messo subito a lavorare per cercare di evitare un isolamento italiano. La carta principale che ha giocato per ricucire i rapporti con il Partito democratico si chiama Nancy Pelosi, che proprio all'ambasciata italiana aveva festeggiato la sua elezione a presidente della Camera. Con non poco affanno, nelle ultime settimane, gli italiani hanno dovuto usare tutto il loro credito per sollecitare il Dipartimento di Stato affinché Frattini venisse ricevuto subito da Hillary Clinton. Nel suo lavoro per recuperare terreno, l'ambasciatore ha puntato sull'italianità, così giovedì sera è riuscito a mettere a tavola con Frattini tre figure potentissime della cerchia stretta di Obama: la responsabile della Sicurezza interna Janet Napolitano, il nuovo capo della Cia Leon Panetta e il vice capo dello staff della Casa Bianca, quel Jim Messina che viene chiamato dal presidente "The fixer", l'uomo che gli risolve i problemi. Si potrebbe dire che ora la partita è stata riportata in situazione di pareggio e che l'Italia adesso è sullo stesso piano degli altri alleati. Obama è completamente post-ideologico e non ha nessun interesse né vocazione a costruire alleanze e riferimenti internazionali come fecero Bill Clinton o Tony Blair in quella stagione che in Italia venne chiamata dell'"Ulivo mondiale". Lavora con i primi ministri che ci sono e se li fa andare bene, e se Berlusconi è stato più bushiano di Bush, questo non è un problema. Ma bisogna stare alle regole e non si può pensare che un partner responsabile che guida un Paese pilastro dell'Europa come l'Italia possa mettere una amicizia personale davanti alla solidarietà tra i Paesi occidentali. Temi come l'integrità territoriale della Georgia, spiegano, sono fondamentali e non si possono prendere le parti dei russi, se questo danneggia una linea comune. Così con l'Iran. La strategia del "doppio binario" di cui ha parlato anche Frattini va presa alla lettera: se è vero che ora gli Usa sono per l'apertura di un dialogo diretto, resta in piedi la politica delle sanzioni e così ci è stato chiesto di non provare a fare passi sul dossier nucleare. Per il dialogo, gli americani hanno messo in campo Dennis Ross, c'è Hillary Clinton e poi l'organismo internazionale chiamato "cinque più uno"; non c'è bisogno che qualcun altro si improvvisi e che a Teheran arrivino messaggi contrastanti. Ma restano le sanzioni e anche su queste bisogna collaborare, per esempio viene spiegato che sarebbe apprezzato un gesto simbolico come la chiusura di una banca iraniana a Roma, che da oltre un anno non fa affari, ma continua a restare aperta. Questo, sottolineano gli interlocutori dell'Amministrazione, sarebbe una dimostrazione di leadership e un messaggio forte. Perché la leadership è benvenuta, ma è fatta di cose pratiche, di gesti effettivi: chi vuole contare nell'allenza con Obama lo deve aiutare. Mandate più soldati, più soldi, e ingrandite il programma di addestramento di polizia in Afghanistan, ha suggerito la Clinton a Frattini. Assumentevi maggiori responsabilità e ciò verrà riconosciuto. Berlusconi ora non ha il problema di correre alla Casa Bianca, il G8 alla Maddalena porterà Obama in Italia e il presidente americano ha promesso alla moglie Michelle una visita a Roma e una a Firenze, la loro città preferita. Ma pragmatismo significa che non si fanno regali, che non esiste più un'amicizia "speciale": lo dimostra la vicenda degli elicotteri per la Casa Bianca, i MarineOne prodotti dalla Locked Martin insieme alla Agusta Westland del gruppo Finmeccanica. Molti blog americani insinuano che la commessa fosse un regalo di Bush per ripagare dell'appoggio dato sull'Iraq, la verità è che oggi alla Casa Bianca ne fanno solo una questione di costi, ma il messaggio è chiaro: d'ora in poi ogni cosa costerà lavoro, attenzione e fatica. L'amico americano va conquistato con i fatti, non con i panorami della Sardegna.
(1 marzo 2009) Repubblica

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