martedì 27 gennaio 2009

La fine di Venezia

Macke/Elisabeth la moglie27/1/2009 (7:40) - ITALIA DA SALVARE
Venezia, lacrime e bancarotta
Gondole e acqua alta a Venezia
Cacciari: "Non ci sono più soldi per i restauri dei palazzi, s'è mangiato tutto Mose"
ANNA SANDRI
VENEZIA Non facile da spiegare, al mondo, che Venezia sta morendo in miseria e non ha più il becco di un euro cosicché il suo prestigioso conservatorio Benedetto Marcello cade a pezzi, Ca’ Corner della Regina ancora un po’ e sprofonda in Canale Grande, e Palazzo Ducale è un rattoppo sull’altro, li chiamano restauri ma ogni tanto casca un pezzo di cornicione, un paio d’anni fa anche in testa a una turista tedesca. Difficile da spiegare, perché poi un giorno leggi che per il nuovo Palazzo del Cinema spenderanno 80 milioni di euro, 4 miliardi e mezzo se li sta fagocitando il Mose, 650 milioni andranno in Sublagunare. Il fatto è che tutto questo sfoggio di ricchezze con Venezia ha a che fare, ma fino a un certo punto: c’è la Legge Speciale, ci sono i bandi europei (tipo quello che offriva i soldi per la sublagunare, Venezia li ha presi, come si fa a dire no, e adesso le tocca farla, con gli ambientalisti in assetto da sommossa). Poi ci sono anche i buchi: il Palazzo del Cinema, confinato in un Lido anacronistico e antieconomico anche per le stelle di Hollywood e le loro major, costerà 80 milioni ma al momento ce ne sono 22 e il resto è un azzardo. Venezia si è pagata, con le casse comunali, il Ponte di Calatrava: anche lì, l’architetto aveva regalato il progetto, vuoi dire «no grazie?» Dodici milioni e mezzo di euro, è uno spettacolo (dice Cacciari: «Non un oggetto ma un progetto, tutto un quadrante della città gli cambierà intorno, e comunque oggi non potrei permettermelo più»), ma ai veneziani è meglio non nominarlo nemmeno, erano altre le priorità. Ora, di fronte a una platea di stampa internazionale alla quale era intento a presentare il nuovo turismo che a Venezia si vende online, lo stesso sindaco Cacciari ha alzato bandiera bianca: ha dichiarato che non c’è più un euro, che il Mose si è mangiato tutto, che la Legge Speciale è passata da 150 a 5 milioni, che lui è disperato per i palazzi rovinati e le rive instabili, e che il patriarca Angelo Scola lo è per le chiese. Qualcuno, in giro per il mondo, non ci avrà creduto. Chi è stato a Venezia almeno una volta, sa cosa significa in termini di portafoglio: 24 euro per lasciare l’auto in piazzale Roma, sei euro il biglietto per qualsiasi vaporetto (si provi a fare il conto per una famiglia di quattro persone). Adesso Venezia prova a costare meno, mettendosi in prevendita su una piattaforma web che si chiama Venice Connected: fantastico per chi lo fa, chi dovesse avere la sciagurata idea di arrivare in laguna senza prenotarsi, potrebbe per esempio trovarsi a pagare 3 euro semplicemente per fare pipì nei bagni comunali (povera quella famiglia di quattro persone), e biglietti più cari nei vaporetti. Venezia in bancarotta è un’idea difficile da vendere al mondo, a chi almeno una volta ha versato l’obolo; però è vero che per certi aspetti questa città mangia se stessa. Ha un Comune che conta 3 mila dipendenti, ma poi riesce a essere presente in oltre 40 società partecipate che insieme ne hanno altri 5 mila, spendendo oltre 270 milioni l’anno di stipendi (contro i 130 milioni del Comune). E’ una città irrazionale, che ha una testa e due corpi: così mantiene una giunta e sette Municipalità disseminate tra laguna e terraferma, con sette presidenti e una quarantina di mini assessori. Quelle che Cacciari aveva promesso di tagliare e che lo accompagneranno invece a scadenza. Intanto, anche gli sponsor si danno: non è più tempo. Che fare, spremere i turisti ancora di più, lasciar crollare i palazzi? L’assessore al Turismo Augusto Salvadori ha un’idea migliore; ne ha parlato al Governo, assieme ai colleghi di Firenze e Roma. «Ridateci il 2 per cento dell’Iva versata dagli alberghi», un minifederalismo tipo boccata d’ossigeno. Aspetta risposta. Sarebbero dieci milioni l’anno, mezzo Conservatorio restaurato. Altri 10 si potrebbero ricavare accorpando un po’ di partecipate, dicono all’associazione Una Grande Città, professionisti della terraferma. Buoni per una toppa a Palazzo Ducale. La coperta è corta: e con i piedi in acqua c’è poco da fare, si sente di più. La Stampa

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