domenica 11 gennaio 2009

L'ignoranza ci seppellirà

Frances/Sargent11/1/2009 (7:38) - IL CASO
Kinshasa, caccia ai piccoli stregoni
Ucciderli non è reato, nessun poliziotto indagherebbe mai
Buttati in strada dai parenti: “Portano sfortuna”
DOMENICO QUIRICO
PARIGI La loro casa è la notte, la sua penombra, i suoi pericoli, il crivello di una spietata lotta per la vita, e l’aria tropicale è acquosa, morbida, calda di erbe macerate, di fogne, inasprita dagli odori dell’umanità derelitta. Allora la civiltà, le regole, a Kinshasa, svaniscono nel buio in un ultimo orgasmo, inizia la legge dell’odio, legame ancor più potente, che esige obbedienza. Di giorno i «shégués» si acquattano nell’umiltà da lustrascarpe, danno informazioni agli automobilisti su come evitare i ciclopici ingorghi della capitale del Congo, vendono acqua agli angoli delle strade, si prostituiscono, rubano, si offrono per qualsiasi lavoro sporco che renda qualche franco. Ti seguono con il loro piglio di zanzare, tenaci, insistenti, pacati come chi ha tutto il tempo per vivere e per morire. Ma per sapere quanto possa essere bollente il loro mondo bisogna aspettare l’ora in cui i ricchi e gli stranieri, i «wabenzi», ovvero quelli che hanno la Mercedes, si rifugiano nel loro quartiere della Gombe. Le strada della città, immenso caotico infernale agglomerato di case miserabili sottratte ad ogni vicenda di decadenza e di progresso e di grattacieli, ammonticchiata sulle rive del Congo in un eterno vapore di marciume, città che macera e corrode, che impaluda e nutre, ritornano alla legge africana della foresta e della savana: in questa immensa china di cemento si recita la caccia dei predatori alle vittime, bisogna battersi come gnu, gazzelle, zebre indifese. Le persone vengono modellate dai luoghi. I «shégués» sono prede, non possono mai dormire sui marciapiedi sgangherati e sudici; si può uccidere per rubare il loro fagotto di stracci, la moneta conquistata a caro prezzo. Nessun poliziotto indagherà mai per un shégué sgozzato. Perché sono bambini, tra i cinque e i 15 anni, venti trenta cinquantamila, il numero non lo ha mai censito nessuno. Abbandonati dalle famiglie con l’accusa di essere stregoni, di portare disgrazia, sono diventati teppisti piccoli delinquenti vittime. Hanno facce già vecchie, assuefatte al lato oscuro della vita. Sono non persone, li vedono solo quando vogliono odiarli. Eppure non sono mendicanti dimessi e pazienti, ringhiano dall’impazienza, si battono. Li chiamano così, pare, per la contrazione di Che Guevara, audacia e violenza compresa ma senza la mitologia rivoluzionaria. E li ha resi famosi, questi figli perduti dell’asfalto congolese, una canzone del musicista Papa Wemba. Nel 70 per cento dei casi le loro famiglie li hanno cacciati di casa con l’accusa di ospitare spiriti maligni, di portare disgrazia. Per la maggior parte degli africani, anche per quelli che vivono in città, che hanno studiato, che usano Internet, dietro le malattie, la morte, gli incidenti non ci sono soltanto fatti naturali, concatenazioni di cause e effetti. Sempre c’è una magia cattiva di un nemico, un rivale. Qui gli uomini politici, i presidenti assumono lo stregone che li avverta, li guidi. La vita ribolle di imboscate continue di spettri malefici, spiriti lugubri e infernali, fatture spietate. Ospiti silenziosi, ascoltatori invisibili. Ma per i shégués la stregoneria è una scusa: l’Aids ha moltiplicato gli orfani come la caduta della speranza di vita - per gli uomini è di 47 anni - e i parenti non vogliono prenderli con loro, la povertà ha reso avara la famiglia tradizionale che sapeva accogliere tutti i suoi figli. Ora i mariti rifiutano i figli di primo letto della moglie. O ci si vuole sbarazzare dei bambini turbolenti o con turbe. E poi se l’Aids contamina qualcuno in famiglia, ecco sono loro i piccoli stregoni i monatti del contagio. Le accuse si sono moltiplicate da quando le nuove confessioni, «le chiese del risveglio» che mescolano cristianesimo e riti africani si annunciano come specializzate nell’esorcismo. Si raccontano di terribili riti sui bambini, lasciati per giorni senza cibo, costretti a camminare su cocci di vetro, chiusi in luoghi senza luce. Quando il maligno non se ne va c’è la strada. E’ stato inghiottito dalla corruzione e dalla guerra tutto ciò che dovrebbe aiutare questi bambini, scuola servizi sociali giustizia. Coloro che dovrebbero proteggerli, i poliziotti, sono i loro maggiori persecutori; commettono abusi sessuali, e estorcono il ricavato dei piccoli furtarelli. Durante le elezioni gli uomini politici li reclutano per disturbare i comizi degli avversari, aumentare la folla dei propri, per creare violenze che vengono poi attribuite all’avversario. Jean Pierre Bemba, rivale sconfitto del presidente Kabila, oggi in carcere per crimini contro l’umanità, ne aveva fatto un esercito privato padrone delle strade. La polizia ogni tanto li rastrella a centinaia e li spedisce a «imparare il lavoro dei campi». Tornano subito in strada, talvolta per l’intervento dell’Unicef. La Stampa

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