lunedì 12 gennaio 2009

Gli inuit e la bomba

Thea Proctor/George LambertLA RIVELAZIONE
Atomica in mare, esquimesi contro gli Usa
Per quarant'anni la bomba è stata solo un fantasma: tante ricerche nessun ritrovamento. Poi la svolta
Un B-52 atterra sul ghiaccio sulla pista di Thule(da Thuleforum.com)DAL NOSTRO CORRISPONDENTEBRUXELLES - Ha perfino un nome, cioè un numero di serie: 78252. Ed è una bomba atomica: insieme con il bombardiere americano B52-G che la portava 40 anni fa, ora sta forse in fondo al mare della Groenlandia, sotto i ghiacci e davanti alle casette colorate di legno degli esquimesi Inuit, nella regione che porta il nome suggestivo di Thule. Ma per 40 anni, appunto, quella bomba è stata solo un fantasma, gli esquimesi ne parlavano come di uno spirito maligno ma non è mai esistita ufficialmente: solo una leggenda, proprio come quella dell'«ultima Thule». Da tutte le ricerche, sempre e solo un responso: nessun pericolo, in mare c'è sì il relitto distrutto di quell'aereo ma non c'è la bomba. Poi, qualche settimana fa, un giornalista della Bbc si è appellato alla legge sulla libertà di informazione ed ha infranto il segreto sempre opposto dalle autorità militari americane. Con fatica ha tirato fuori la verità, un po' come gli Inuit tirano fuori dal ghiaccio i narvali, i cetacei che arpionano per procurarsi da vivere. E la verità sarebbe questa: nel bombardiere
B52-G precipitato per un'avaria sulla banchisa, il 21 gennaio 1968, mentre si dirigeva alla vicina base americana di Thule (ancor oggi esistente), c'erano davvero 4 ordigni nucleari classificati come «B28». Tre sono stati ritrovati, e segretamente portati via: ma del quarto, il N.78252, mai nessuna traccia. Una quindicina di chili di plutonio, secondo quanto ha affermato un deputato danese al Parlamento della Groenlandia, sarebbero ancora laggiù. Pochi giorni dopo queste rivelazioni, il governo danese (che ha ancora una giurisdizione formale sulla Groenlandia ormai indipendente) ha annunciato l'avvio di una nuova indagine. E si riapriranno le vecchie inchieste, quelle basate sulle testimonianze dei tecnici incaricati della bonifica dopo l'incidente: tentarono di far causa alle autorità americane, ma senza esito proprio perché niente confermava la presenza di materiale atomico.
Ora il primo ministro groenlandese Hans Enoksen parla di rischi sanitari per la popolazione. E gli esquimesi accusano gli americani e i danesi, per il lungo silenzio. Ma la loro è una voce remota, e fievole. Vivono 650 persone nel villaggio di Qaanaaq, che è il punto abitato più vicino al luogo del disastro, e il paesino più settentrionale della Terra. Fu fondato da quegli stessi Inuit che nel 1953 furono allontanati da Thule, dove stava per sorgere la base americana. Per loro, fu una piccola odissea, poi compensata dalla generosità materiale degli americani: ma ora che quelle acque potrebbero essere avvelenate per sempre, è come una maledizione che torna. E il luogo è pieno di altre storie. Quelle, per esempio, legate ancora una volta al nome di Thule: si chiamava così una società segreta che avrebbe offerto le basi teorico iniziatiche al nazismo delle origini; ma che c'entrino con tutto ciò gli esquimesi, nessuno sa dirlo. Loro, gli Inuit, cacciatori di foche, narvali e orsi, sono gli stessi «scout» che insegnarono all'ammiraglio americano Edwin Peary come usare slitte e cani per marciare verso il Polo Nord. Lui proclamò di averlo raggiunto nel 1909, altri lo smentirono, ma alla fine pagarono proprio gli Inuit: Peary ne portò un gruppetto con sé negli Usa, dove morirono di malattie e forse anche di nostalgia. Solo pochi anni fa, i loro resti sono stati riportati a Qaanaaq, e lì sepolti. Per il villaggio, il nome dell'America resta così legato a tristi memorie e agli incanti consumistici del presente. A dicembre, come sempre, un Babbo Natale «aeronautico» è volato carico di doni americani da Thule a Qaanaaq: si è ballato e cantato, e per una sera non si è parlato dei segreti nascosti nel mare.
Luigi Offeddu 12 gennaio 2009 Corriere della Sera

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