mercoledì 4 marzo 2009

Donne in Afghanistan

Khnopff«E pensare che da ragazza portavo la minigonna»
Afghanistan, ucciso il marito dell'attrice: «La lasciava recitare»
Paween Mushtakhel, attrice e volto noto della tv afghana, ora indossa il burqa e si nasconde dai talebani
Per oltre vent'anni il palcoscenico è stato la sua vita. Ora è diventato l'ombra della morte. Paween Mushtakhel, attrice e volto noto della tv afghana, sapeva far sorridere anche un Paese che arranca davanti alla rivincita talebana. Ora è costretta a nascondersi e non si dà pace: «Ho ucciso mio marito con il mio lavoro», ripete con il volto scuro di dolore, riferisce il Times. A dicembre, suo marito è stato assassinato davanti casa dopo mesi di avvertimenti. Lui non si era piegato, non ci pensava proprio a proibire alla moglie di andare in tv. E gli estremisti gliel'hanno fatta pagare. Da allora lei, rimasta vedova a 41 anni con due figli, vive nel terrore. In fuga, ospite in incognito tra una casa d'amici e l'altra.
Paween non è la sola donna nel mirino. Negli ultimi 18 mesi i talebani hanno ristabilito una presenza significativa nel 75% del territorio afghano. E man mano che le loro restrizioni intaccano il relativo liberalismo delle città, sono molte le donne lavoratrici a temere per la propria vita. «L'atmosfera è cambiata», constata amara Paween che ha stilato una lista di professioni ad alto rischio: parlamentari, attiviste di Ong, giornaliste, medici, insegnanti, attrici, cantanti e ballerine. I talebani giustificano gli attacchi sostenendo che sono lavori di copertura per atti immorali come la prostituzione. Sembrano tornare gli anni bui delle ronde di fondamentalisti pronte a terrorizzare e uccidere in nome della lotta al vizio. Così molte afghane danno le dimissioni piuttosto che correre rischi.
Non si era fatta intimorire la più famosa poliziotta afghana, Malalai Kakar, uccisa a settembre. Dopo la sua esecuzione sono rimaste a terra giornaliste, insegnanti e impiegate, comprese quattro cooperanti occidentali. Anche le studentesse non hanno vita facile: Shamsia, 17 anni, è stata sfigurata in volto con l'acido a Kandahar a novembre mentre andava a scuola. Stessa sorte per altre 11 ragazze e 4 professoresse.
C'è chi resiste nel segreto: «I miei genitori disapprovano che io lavori qui — racconta Zarghona, 22 anni, impiegata in una multinazionale a Kabul —. Dicono che ci sono maschi in ufficio e che non va bene per la mia reputazione. Abbiamo molta paura dei talebani. Non dico a nessuno che lavoro qui. Indosso sempre un burqa ora». Anche la signora Mushtakhel si nasconde dietro l'anonimità del burqa. «E pensare che da adolescente uscivo con il capo scoperto e la gonna corta», ricorda riferendosi agli anni Settanta, prima dell'invasione sovietica: «A quel tempo la popolazione di Kabul era istruita. Recitare era considerata un'arte », dice. La guerra che seguì distrusse la sua famiglia.
Durante il dominio talebano niente teatro. Quando dopo il 2001 tornò sul palco scoprì che la sua professione era diventata immorale. Nel 2005 recitava nel primo spettacolo di Shakespeare allestito in Afghanistan. «Tornavo a casa la sera quando era buio e la gente diceva: Come mai? Deve essere una prostituta». Cambiò casa ma rifiutò di lasciare la scena. E oggi maledice questa sua determinazione.
Alessandra Muglia 04 marzo 2009 Corriere della sera

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